Mi ritrovo decisamente più tardi del previsto a scrivere queste righe perché ho dedicato tutta la serata di ieri, fino a orari poco consoni all’età che avanza, a Sherlock Holmes – Consulente Investigativo, gioco da tavolo pubblicato in Italia da Asmodee che vede i giocatori impegnati nel risolvere casi più disparati in una Londra di fine ‘800 (argh, ecco perché consegni sempre i pezzi in ritardo… maledetto! ndKikko). Ciò che mi ha colpito del titolo è l’estrema libertà d’azione donata agli aspiranti detective, tanto da sembrare quasi un libro-game cooperativo in cui, invece di saltare da una pagina all’altra seguendo i soliti bivi, gli avventurieri hanno a disposizione l’intera mappa della capitale inglese e un libricino ricco di paragrafi corrispondenti a indirizzi, persone da interrogare e luoghi di interesse.
Secondo me, e non solo, la linea di demarcazione tra giochi da tavolo e videogiochi è sempre più sottile, tanto che come avrete notato sia sul nostro bellissimo sito, sia sulle patinate pagine della rivista, da diversi mesi è nata una rubrica dedicata proprio a questo affascinante hobby. Ieri sera, mentre armato di carta e matita prendevo appunti su un misterioso omicidio, ho cominciato a pensare a come Sherlock Holmes potesse essere estremamente godibile anche in digitale, come del resto succede a tantissimi titoli incredibili che tengono compagnia a migliaia di giocatori accaniti.
Il fascino dei dadi, delle carte e delle pedine è duro a morire, e io per primo, che ho cominciato a digitare LOAD sulla tastiera del Commodore 64 prima di imparare persino a scrivere il mio nome, difficilmente accetto di buon grado una conversione digitale di un’opera del genere: qualcosa di molto importante, a mio avviso, si perde da qualche parte tra il monitor e il mouse (o il dito in caso di tablet e cellulari), e rinunciare al “contatto fisico” è per me qualcosa di inconcepibile. Eppure esistono titoli che, grazie appunto alle versioni digitali, semplificano non poco la vita del giocatore, come Blood Bowl 2.
La linea di demarcazione tra giochi da tavolo e videogiochi è sempre più sottile
È proprio in questi casi, quando il videogioco riesce a mantenere la stessa profondità e al contempo semplifica regole particolarmente ostiche, che la potenza del medium diventa palese. Nello stesso modo in cui i libro-game stanno vivendo una seconda gioventù proprio grazie ai dispositivi mobili, sempre presenti nelle nostre tasche, anche i giochi da tavolo stanno riscoprendo le comodità del digitale: applicazioni in grado di gestire l’intelligenza artificiale di un titolo cooperativo, come in Descent, oppure capaci di gestire algoritmi che in passato venivano gestiti da un ulteriore giocatore che rischiava di divertirsi decisamente poco, come nell’ottimo Alchimisti di Matúš Kotry, sono solo un paio di esempi. Quando si riesce a prendere il meglio di due universi così lontani, e nello stesso modo così vicini, senza perdere niente per strada, non ci resta che gioire guardando i nostri amati videogiochi che, nonostante la loro giovane età (Pac-Man alla fine compie “solo” 37 anni il 22 maggio), stanno riuscendo a diventare una componente così importante nelle nostre vite quotidiane.
Sì, il discorso ormai è trito e ritrito, ma è proprio grazie a queste piccolezze, che poi in realtà “piccolezze” non sono, se prima o poi riusciremo tutti a guardare il videogioco con occhi diversi, considerandolo finalmente alla stregua di qualsiasi altro mezzo comunicativo e non come il solito “giochino con cui sparare alle cose”.