Più o meno tutto quello che c’era da dire su gamescom, e sul “mood” della fiera tedesca di quest’anno, l’ha già scritto benissimo il buon Marietto nel suo editoriale di ieri, ma non riesco davvero a esimermi dal dire anch’io la mia. Anche quella di quest’anno è stata una fiera particolarmente intensa, e non solo per i ritmi lavorativi che ci hanno portato a realizzare un coverage davvero da leccarsi i baffi, ma anche e soprattutto a livello umano e personale. Con i compagni di viaggio, innanzitutto, a bordo del nostro pulmino dell’A-Team strapazzato a dovere lungo le autobahn tedesche e capace di parcheggi in spazi all’apparenza troppo angusti per un bestione di cinque metri per due. Perché al di là dell’aneddotica spicciola, una fiera con quelli di TGM è sempre un’esperienza straordinaria, per quello che ti lascia dentro quando cala il sipario e si spengono gli schermi e i riflettori degli stand. Per le nottate passate a montare video, a scrivere articoli ingurgitando ogni sorta di schifezza a portata di mano, con un’occhio alle lancette di un orologio che corre sempre troppo in fretta e uno sulle persone sedute accanto a te a lavorare.
Alle fiere noi di TGM veniamo travolti da una anomala e disumana carica di energia che non ha eguali nel resto dell’anno
prendo sempre troppi appuntamenti con sviluppatori e publisher, molti più di quanti sia possibile umanamente gestire
Ci piace un sacco trovare sviluppatori che hanno voglia di raccontare il loro lavoro e di condividere con te i mesi (se non gli anni) di fatiche che li hanno portati in fiera accanto a una postazione. A volte sono italiani, e questo ti riempie il cuore di orgoglio; a volte sono di qualche paese lontano, e parlano un inglese persino peggiore del tuo, che capisci più o meno la metà di quello che dicono, ma va bene lo stesso, perché alla fine conta quello che accade sullo schermo; a volte sono persino più stanchi di te, lo vedi che è la millesima volta che dicono le stesse cose, e un po’ ti verrebbe voglia di dirgli “massì dai, rilassati venti minuti e beviamoci una birra insieme, e il gioco lo recuperiamo un’altra volta”, e in un paio di occasioni è anche successo.
Continuo a non capire lo scoramento e la delusione sul volto di tanti colleghi che, ogni volta che li incontri per i corridoi e negli stand, si lamentano della “sbatta” della fiera, della fatica, del fatto che “sì insomma, ormai Colonia non conta più niente, perché ci sono venuto, l’anno prossimo non mi fregano più ecc. ecc.“. Un po’ mi spiace per loro, lo ammetto, più di tutto perché non si godono quello che per qualunque videogiocatore è uno dei momenti più belli dell’anno, un “all you can eat” a suon di pixel e joypad che si verifica solo due volte ogni dodici mesi, e che è bello vivere con ingordigia. Scoprendo, tornati a casa, di avere ancora una fame da lupi.