Woody e Buzz di Toy Story apprendono la loro verità “esistenziale” dalla televisione, conoscendo dettagli sulla loro natura o sulla propria storia “mediatica”
Potrei continuare all’infinito (le sfere di emozioni in Inside Out racchiudono piccole porzioni di video, il piccolo Carl Fredricksen di Up che in un cinegiornale scopre e ama l’avventura, gli umani nella navicella spaziale in Wall-E scopriranno l’ammutinamento del computer di bordo – somigliante a HAL 9000 di Kubrickiana memoria – attraverso una diretta streaming, mentre il capitano riprende il controllo della nave) e ne uscirebbe senz’altro un articolo didascalico, oltre che di analisi. Di sicuro sono arrivato a una considerazione certamente non nuova, ma che è mutata dai tempi che vedevano – e forse ancora oggi è così, almeno in parte – l’audiovisivo come un male da estirpare, una macchina demoniaca posta sulla via sbagliata.Studi come Remedy hanno dimostrato di amare il loro medium di appartenenza e lodare quello che più li ispira; Pixar, benché non faccia film live action, riconosce l’importanza di questo tipo di linguaggio, veicolando e mescolando dirette influenze. C’è fiducia in questo, nel cinema e come nella televisione. La consolidazione di un potere impressionante, capace di veicolare – nel suo buon uso – addirittura la Verità.
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