Dopo svariati anni passati senza prendere ferie (o comunque andando al mare con dietro un portatile, per scrivere cose rimaste indietro), sono finalmente riuscito a isolare cinque giorni sabbatici di “stacco totale”, dove ho preso la famiglia e sono andato a farmi un giro a Parigi per i fattacci miei, senza che ci fosse di mezzo un press tour di qualche tipo. Al fine di dedicare quel tempo a moglie e figli – ed esclusivamente a loro – ho deciso di non portarmi dietro nulla di videoludico, nemmeno il fedele 3DS che da sempre mi tiene compagnia durante i viaggi in aereo o negli altri tempi morti che inevitabilmente “poppano” quando ci si trascina dietro una valigia. Pensavo di avere più forza, e che cinque giorni di assoluta separazione dalla tecnologia (se si esclude qualche puntatina su Facebook via smartphone) e dai videogiochi si potessero affrontare come una passeggiata sulla battigia. E invece, all’alba dei 44 anni appena compiuti, eccomi al rito del triste outing: per me i videogiochi sono una droga, da cui peraltro non ho proprio voglia di separarmi.
I primi segnali di dipendenza sono apparsi già in aeroporto, quando al gate mio figlio ha tirato fuori il suo (di 3DS) e si è messo a giocare a Fire Emblem, mentre la sorella era tutta intenta a far pomiciare mia nonna con mio suocero, in quel ginepraio incestuoso che è Tomodachi Life. Io ho cominciato a leggere un e-book, ma l’occhio mi cadeva continuamente su quei due oggettini magici nelle mani della prole. Una volta giunti a Parigi le giornate piene di camminate hanno inizialmente stemperato la voglia della dose quotidiana; di sera, tuttavia, il pensiero si è fatto via via più pressante, tanto che c’è mancato tanto così che strappassi il 3DS dalle mani del piccolo emulo di Bar Simpson per mettermi IO a giocare a Fire Emblem (titolo bellissimo davvero, ma non certo nelle mie corde). Il disastro, quello che ha scatenato la disperazione più totale, è emerso in tutta la sua potenza l’ultimo giorno, nei pressi del lungo Senna, quando su un tabellone luminoso è apparsa la pubblicità di The Division, gioco che ho dovuto momentaneamente abbandonare per dedicare i miei sforzi produttivi a Quantum Break (a proposito… qui trovate la recensione, nel caso interessasse). È stato lì, in quel preciso momento, che ho realizzato quanto l’ago in vena fosse penetrato in profondità; nei successivi venti minuti non ho fatto altro che pensare all’attimo in cui avrei riattraversato la porta di casa, per poi mollare seduta stante i bagagli in mano alla moglie e “accendere la Play” (dopo una carezza doverosa ai gatti, s’intende).
Per me i videogiochi sono una droga, da cui peraltro non ho proprio voglia di separarmi
Dolce e violenta è la droga dei videogiochi, come in quella canzone di Enrico Ruggeri; perderla sarebbe come non avere niente in cambio, nemmeno la gente che trovo nella notte. Morirò con un pad in mano: toccherà che me ne faccia subito una ragione.
E adesso scusatemi, che devo assolutamente andare a raccogliere frammenti di Animus in un Assassin's Creed a caso.