L’uomo flessibile è un bel saggio economico (non nel senso che costa poco, ma che discute di economia) di Richard Sennett. L’unico che ho letto nella mia vita e, se dovessi dirvi il perché, non saprei farlo. Solitamente i numeri non mi affascinano e trovo l’economia una vera pizza, però questo aveva degli spunti proprio interessanti a proposito di come il capitalismo flessibile abbia cambiato il modo di vivere la propria vita, di affrontare le relazioni e di costruire un progetto permanente, stabile e duraturo. Insomma, la paura di un impegno a lungo termine in un mondo in cui sono la dinamicità e la mutevolezza a dettare legge.
Perché questo pippotto? Perché come ogni bravo videogiocatore del XXI Secolo, la mia dieta a base di videogiochi negli ultimi anni ha assunto un ritmo forsennato, un consumo a catena di montaggio; l’alternarsi malsano di titoli che si succedono l’uno a l’altro a volte senza rispettare la fila, come italiani maleducati, sovrapponendosi irrimediabilmente. Spesso capita che l’ultimo frammento di un titolo che sto giocando sparisca in un’unica soluzione, tirata via pur di cominciare col successivo. Non c’è niente di salutare in questo, me ne rendo conto. L’offerta però è soverchiante, e se si vuole un minimo restare aggiornati sul mercato si ha il dovere di assaggiare tutte le pietanze, a spizzichi e bocconi. Male, con i sapori che si mescolano in bocca e non sai più dove inizia uno e finisce l’altro. Perlomeno, questo è ciò che il mercato, il mondo, il modo in cui viviamo ci suggerisce di fare.
Ed è un malessere condiviso. Con i miei colleghi spesso mi capita di star lì a lamentarci del tempo che è sempre meno e i videogiochi che sono sempre di più. Una sfilza di titoli che ci suggeriamo a vicenda e alla quale prontamente si risponde con “Ce l’ho lì, devo iniziarlo”. Questa corsa sfrenata danneggia gravemente i titoli importanti, distrugge quelli medi, massacra i più piccoli. E, guardandoci in faccia, non possiamo puntare il dito verso il mercato o la distribuzione: la colpa è nostra, dell’aver ricercato una voracità che non possiamo sostenere. Siamo diventati giocatori compulsivi, disattenti e smaniosi. La nostra dieta non ha più un progetto duraturo.
La mia dieta a base di videogiochi ha assunto un ritmo forsennato, un consumo a catena di montaggio
Che questo esperimento finisca in un successo o meno (attualmente sono a circa 30 ore di gioco e credo me ne serviranno almeno altrettante per leggere i titoli di coda) è tutto da vedere, ma mi ha dato una prospettiva diversa su un impegno a lungo termine senza l’ansia di bruciarmi un videogioco. Certo, la vita e il lavoro non ti danno sempre tempo di sorseggiare con calma un titolo (penso ai tempi forsennati delle recensioni) ma forse, se imparassimo tutti a rallentare i ritmi della corsa che è diventata la nostra vita, ne trarremo solo vantaggi.