Una delle notizie che hanno fatto più scalpore negli ultimi giorni è sicuramente la querelle tra Pewdiepie e Sean Venaman di Campo Santo. In pratica, lo youtuber più famoso del globo terraqueo ha utilizzato un’espressione estremamente razzista (utilizzando quella parola con la “n” che, soprattutto per il pubblico americano è un taboo culturale molto forte, ma che, suvvia, anche in tutto il mondo anche basta) durante una live di Playerunknown Battlegrounds. Non è la prima volta che il ventisettenne svedese si lascia andare a commenti xenofobi, e non è la prima volta che il suo atteggiamento provocatorio (ancorché, spesso, contestualizzandolo, ironicamente di cattivo gusto) finisce sotto la lente d’ingrandimento. Il punto è, al solito, l’indotto che i video generano, ed è lecito che qualche azienda non voglia essere associata a contenuti che non le vadano a genio. Anche questa volta la situazione non è troppo diversa, con Sean Venaman di Campo Santo che ha annunciato, su Twitter, che lo studio che ha sviluppato Firewatch avrebbe lanciato un “DMCA takedown” contro Pewdiepie (ovvero una richiesta formale a YouTube di rimuovere tutti i contenuti riguardanti i suoi prodotti dal canale dello svedese). In pratica, rimozione del playthrough di Firewatch dal canale e l’impossibilità di streammare o caricare video in futuro riguardanti prodotti futuri dell’azienda.
I toni, insomma, si sono fatti caldissimi, e lo stesso Venaman, pur ribadendo la sua decisione, ha dichiarato che i suoi modi sono stati fin troppo veementi. Probabilmente il co-director di Firewatch si riferisce anche al fatto di aver detto, in maniera seccata, di essere stufo che gli streamer guadagnino sul loro delle software house. Un’affermazione che ha contribuito a rendere la situazione tesa, e, in effetti, anche abbastanza criticabile per certi versi, visto che per quanto corrispondente alla verità, c’è anche da dire che si tratta di un veicolo promozionale che gli studi spesso alimentano per trarne beneficio. Di contro, Pewdiepie si è scusato e forse Venaman avrebbe potuto ottenere lo stesso in maniera più diplomatica (confermando anche il DMCA), e anche qui, però, verrebbe da dire che non essendo la prima volta che lo youtuber cade in errore, il suo modus operandi può destare qualche dubbio sulla genuinità delle sue azioni. In ogni caso si tratta di una pagina fastidiosa di cronaca riguardante l’industry, perché non fa altro che sollevare considerazioni amare. Tra l’altro, in questo editoriale non voglio ragionare su nessuna delle correnti di pensiero che riguardano la legittimità o meno delle azioni delle due parti, per quanto, a mio modo di vedere, un’azienda è totalmente padrona di decidere a chi associare i propri prodotti.
La reazione della community è la dimostrazione empirica di cosa intendiamo per “influencer”