Ho sempre avuto una grande, intensa e profonda immaginazione. Trovo che osservare gli alberi spieghi molto del mondo, come penso che guardare il cielo, con le sue nuvole sparse qua e là, permetta di capire meglio cosa nascondano gli astri. La fantasia è come una grande ampolla in cui si riempiono i sogni, con essi che diventano irrefrenabili e travolgenti. Alcuni sono potenti, così tanto potenti da essere come il fuoco e le fiamme di Draco, il protagonista alato di Dragonheart, che incitava Bowen a ritrovarlo nelle stelle in cui dimora con i membri della sua stirpe. James Matthew Berrie pensava che la fantasia di un bambino fosse diversa, e che chiunque avesse una propria Isola che non c’è che attendeva soltanto di essere scoperta.
Così ho immaginato per tanto, troppo tempo la mia e sono riuscito a costruire mondi che mi appartengono e realtà intime. Ho scoperto, crescendo, cosa fosse l’Inferno, definendolo un luogo di perdizione e privazione. Eppure, lì era presenta l’umanità tutta, l’umanità povera e diseredata, che non aveva alcuna speranza di redenzione. Il Purgatorio, però, ha un significato divergente nella letteratura italiana, analogo tuttavia a quello della Chiesa cattolica: esso rappresenta una strada di mezzo in cui la purificazione si raggiunge per arrivare al Paradiso, in cui le anime, in pace e silenti, possono abbracciare coloro che hanno perduto. Dante ritrovò così la sua Beatrice, fra quegli abbracci caldi e amorevoli, mentre Draco, invece, perse un amico per sacrificarsi e salvarlo. E mentre la magia delle stelle splendeva, il ciclo arturiano prendeva forma, con le sue leggende e un mago goffo che, certo di poter salvare un giovane da un destino avverso, gli posò una corona ben prima che quest’ultimo riuscisse a tirare fuori la spada che lo elesse come signore dei britanni.
OLTRE IL SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE E LE SFUMATURE DEGLI ACTION RPG
Qualche tempo dopo quelle stesse leggende toccarono Robin Hood, la foresta di Sherwood e la sua allegra combriccola. Quante storie sono state scritte al calar del sole, quante ballate raccontate con un filo di voce mentre, tra un Anello del Potere e l’altro, uno hobbit ritrovava la via di casa e, nel frattempo, la sua libertà. “Esci dall’uscio dal quale parte, questa è la Via, devo inseguirla a ogni costo”, cantava mentre si avviava nella meraviglia di terre lontane. La fantasia è partire e non sapere dove si sta andando,
ma ritrovarsi negli attimi,
quelli improvvisi. Come quel linguaggio dei fiori che Cloud, protagonista di Final Fantasy VII, conobbe quando incontrò Aerith nel bel mezzo di una Midgar avvolta dalle fiamme, con una vita mondana notturna interrotta da una grande esplosione.
Ho sempre immaginato che l’amore sbocciasse come quello di Tristano e Isotta, all’improvviso. In realtà, è proprio così: quel giovane fu salvato e messo al sicuro,
protetto da una giovane che scoprì la sua stessa libertà. La fantasia ha condotto a Narnia, a Cair Paravel, entrando al suo interno da un armadio pieno zeppo di pellicce. Con Final Fantasy XVI (ecco
la nostra recensione) mi è però bastato inserire il
disco nel vano della mia PlayStation 5 e partire in una terra lontana e affascinante,
seppure crudele al tempo stesso. La sedicesima fantasia finale è ben lungi dall’essere una storia classica come se ne sono giocate in passato, specie dell’iconico franchise creato da Square Enix. La concezione di fantasia esplorata dallo studio di sviluppo nipponico ha raccolto in parte le ispirazioni della letteratura occidentale e ha coniugato il fascino e la potenza letteraria dell’Oriente in un incontro speciale e iconico.
NON ESISTE ALCUNA PACE ALL’INTERNO DI FINAL FANTASY XVI
Non è la prima volta per la serie, ma stavolta, però, si ha davanti qualcosa di estremamente curioso da contemplare. Non mi riferisco solo alle declinazioni letterarie, ma all’approccio utilizzato per inserirle, dedicando loro uno spazio ben più che inclusivo ed esclusivo. Il Purgatorio non è un luogo di redenzione dalle colpe terrene: è ciò che definisce un individuo sospeso fra le colpe e quell’Inferno che non riesce a superare, oltre che un posto in cui ritrovare sé stesso per avanzare verso la luce perpetua. Il cammino di Clive, il protagonista di Final Fantasy XVI, parte da Porta Fenice. Ha un’anima in fiamme e un cuore che sussulta desiderio, una mente rapida e una mano ancora più veloce.
La sua storia inizia nel dolore.
LE CRONACHE DI FINAL FANTASY XVI
Parlare solamente di semplici ispirazioni potrebbe essere la soluzione giusta per arrivare ad analizzare nella sua interezza l’epopea raccontata da Naoki Yoshida e il suo team. Qui si va oltre le battaglia perfettamente ideate da Ryota Suzuki e l’intensità del racconto degli scrittori di Square Enix, che hanno eseguito una perfetta combinazione sinfonica fra il racconto e la narrazione. Il mondo di Valisthea è crudele, non bada a nessuno e suddivide gli altri in ceti, alta e media borghesia, nobiltà e becero schiavismo. Tre fazioni si contendono una terra frastagliata e in guerra perenne, totalmente legata al potere dei cristalli che alimentano il mondo, anche se lo stanno distruggendo. La loro luce splende sul cammino dei virtuosi, mentre su coloro che cercano una vita alternativa, invece, la speranza è ridotta all’osso. Non è un mistero, infatti, riconoscere fra le pieghe del racconto di Final Fantasy XVI una sorta di analogia con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George Raymond Richard Martin, l’uomo che ha creato la leggenda di Jon Snow, Daenerys Targaryen, l’antica ma potente Valyria.
Intanto che tutto diveniva potente e sconvolgente, mentre là fuori la magia si estendeva e gli Estranei comparivano all’improvviso, c’era chi viveva inconsapevole di quegli errori. Il Grande Inverno parlava di questo: una pace sorretta a fatica, ma ora rafforzata dal cuore e dagli animi altrui. Valisthea, però, non è una terra unita: è dominata da ducati, principati, reami di vario genere e, soprattutto, da un impero che non si accontenta soltanto di servirsi degli altri per arrivare ai suoi scopi. Il racconto di Final Fantasy XVI, insomma, comincia da un castello lontano e immaginifico, in cui la pace può rompersi solo se gli uomini sono stanchi di preservarla. Il racconto parte da questo canovaccio classico e continua su binari sanguinosi e brutali.
IL DOLORE NON SI ESTENDE SOLTANTO ATTRAVERSO I PROTAGONISTI PRINCIPALI
Clive apprende la sofferenza prima di chiunque altro, nonostante l’amore di suo padre. Meglio, però, non raccontare troppo della trama: la produzione è pur sempre uscita una settimana fa e chi non lo ha ancora concluso, è meglio che scopra cos’ha di fronte con tutto il tempo necessario. Le sfumature del racconto, che è un punto di forza dell’opera del team nipponico, raggiungono vette altissime sin dal principio,
per poi continuare su una strada ludicamente lineare,
ma piena zeppa di bivi. Il racconto della sofferenza è alla base dell’intensità narrativa di Final Fantasy XVI perché Clive conosce da vicino il fato orrendo da Marchiata. Una delle principali tematiche raccontate all’interno della sedicesima fantasia riguarda, infatti, l’isolamento nei confronti dei Dominanti e dei Portatori, che veicolano il potere dei cristalli e la loro magia divenendo degli Eikon. Ognuno di essi è al servizio dell’Impero per costrizione come Clive,
costretto a sua volta a dover interfacciarsi con la brutalità del mondo.
Questo, però, avveniva già dalla sua infanzia. Raccontare l’isolamento all’interno di un videogioco di questo calibro non è da tutti: cosa colpisce in modo significativo è cosa viene raccontato nel mezzo e in che modo ciò è approfondito. Il lavoro svolto nella costruzione del mondo, infatti, influisce parecchio: la società, suddivisa e annientata, mette sul piedistallo i ricchi e il potere assoluto, con i poveri condannati a vivere da tali. Final Fantasy XVI mostra la brutalità della schiavitù con lo stesso coraggio che Clive affronta per scrollarsela via di dosso. Ogni luogo all’interno di Valisthea racconta storia di popoli in tumulto e in difficoltà, ancorati a loro volta a paure primordiali e primarie, le stesse che anestetizzano il mondo, disintegrandolo a tal punto da lasciarlo alla mercè di sé stesso. Come accennavo, non c’è pace: solo sangue. Il sangue scorre sui volti rigati da lacrime e disperazione.
GEORGE RAYMOND RICHARD MARTIN ORMAI FONTE PREFERITA PER IL PANORAMA VIDEOLUDICO
La schiavitù, che ne “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” è raccontata senza peli sulla lingua, in questa occasione mostra tutta la sua cattiveria. Ridotti a mangiare gli avanzi, a calpestarsi gli uni sugli altri e ad abituarsi alla sofferenza, questo Purgatorio per loro si trasforma in un nuovo cerchio dell’Inferno, ma senza che Minosse li abbia separati e indotti a seguire il loro fato già scritto. Sono flagellati da uomini e donne abiette, abituate al lustro dei troni dorati e dai saloni splendenti, in quelle città sicure dominate da bordelli, finti amici e ipocrisie. Le parole in quelle strade non hanno importanza e nessuno è troppo impegnato ad ascoltare il prossimo per comprendere sul serio, neppure in quei disperati momenti in cui si cerca altro,
quanto sia importante la vita.
George Raymond Richard Martin, in tal senso, ha sempre cercato di raccontare la sua realtà attraverso gli occhi dei protagonisti e le situazioni che essi vivevano all’interno delle sue pagine. Jaime Lannister è un personaggio scritto magistralmente che cresce di libro in libro, diventando un uomo migliore, cercando la sua redenzione. “Amore, amore, quanti atti si compiono in tuo nome?”
Lo stesso vale per Clive,
che mosso dall’amore per suo fratello, è spinto a cercare la verità dentro il suo animo. Intanto che questo genere di profondità viene esplorata, il mondo là fuori non ha pietà.
Senza pace non c’è più la verità e senza la libertà tutto muore
Schiavitù, perdizione, paura del diverso e nessun genere d’inclusione. Solo panico e paura, solo affarismo e codardia. Poi ci sono i pochi coraggiosi, che potrebbero ricordare a qualcuno i ribelli della Avalanche di Final Fantasy VII, di sicuro uno dei capitoli da cui Yoshida ha catturato maggiormente le ispirazioni riguardanti alla serie oltre all’immortale Final Fantasy VI,
che cattura atmosfere medievali e fantastiche in modo unico e realmente particolareggiato, tanto da essere un punto di contatto plateale fra le due iterazioni del franchise, specie per il naturale corso degli eventi raccontati nella sedicesima fantasia finale che apre il cuore non solo attraverso una spada conficcata nello sterno, ma con le parole e la redenzione.
STORIA DI ESISTENZE SPEZZATE
Chi raggiunge il Purgatorio è colui che, spinto dall’insoddisfazione, intende oltrepassare il Paradiso terrestre e giungere dall’altra parte. Le tante ispirazioni la letteratura moderna e non solo, ma soprattutto quelle con le derivazioni del passato, raggiungono delle sfumature speciali e personali che all’interno della sedicesima fantasia finale aggiungono delle particolarità personali che non appartengono soltanto ai pochi, ma a tutti. Se nel linguaggio dei fiori significa ritrovarsi, quel “Viene a me, Ifrit” ha un altro tipo di spiegazione.
OGNI STORIA RACCONTA IL FATO TRISTE DEI VARI PROTAGONISTI
Non c’è una singola esistenza all’interno di Final Fantasy XVI che non abbia sofferto fino a impazzire. La storia di Benedikta, per esempio, è una delle più toccanti, feroci e d’impatto che io abbia mai provato all’interno di un videogioco. Parla in modo deciso della sua sofferenza e, al contempo, di cosa l’ha portata a essere una figura negativa dominata dalle sue emozioni, oltre che da una freddezza e crudeltà fuori dal comune. Non andando tuttavia a scoperchiare completamente la sua storia,
sappiate comunque quanto è raccontato successivamente all’interno di Final Fantasy XVI raggiunge dei picchi narrativi qualitativi notevoli, così come l’intera scoperta dei protagonisti al suo interno e della dominazione dei Portatori e degli Eikon. Le creature dominanti, in tal senso, non rappresentano soltanto dei pretesti narrativi ma estendono, in realtà, qualcosa di ancora più intenso e particolareggiato, mirato a far scoprire delle caratteristiche che sottolineano la potenza del racconto insita al suo interno, così trascinante ed emozionante quanto totale e impattante.
Mentre la storia di Benedikta raggiunge delle vette tragiche, quelle di Clive e Jill sono legate e avviluppate come due rami che non riescono in alcun modo slegarsi l’uno dall’altro.
Questo è il principale punto d’incontro, seguito da un altro, mirato però al cuore della narrativa e delle ispirazioni, e che si riflette inevitabilmente sulla riflessione del Purgatorio e riguarda il protagonista e la sua sofferenza all’interno di questo mondo consumato dall’oblio e da un odio che si trasforma in rivalsa personale e desiderio di farcela a ogni costo per uno scopo maggiore, nonché per un sogno che si augura di abbracciare al più presto.
Clive è il personaggio più cupo e triste che io abbia mai giocato prima di oggi
Il principale punto di contatto di Clive, inoltre, riguarda direttamente il suo passato: ha compiuto gesti orribili ed esecrabili per l’Impero e le sue mire espansionistiche che hanno sconvolto le esistenze dei Portatori, costretti a scappare dalla cupidigia di un mondo crudele. Se da una parte qualcuno è pronto a redimersi,
ciò non significa che possa accadere anche per chi è contento così.
IL PURGATORIO DI CLIVE
Come accennavo prima, Clive è sospeso fra un passato di sofferenza e un presente che lo conduce a una situazione di stallo. Le ispirazioni, fondamentali nell’architettura narrativa dell’opera di Square Enix, racchiudono il messaggio finale dell’intera esperienza di gioco in modo maturo. Già, è questo il vocabolo corretto: maturazione. Il protagonista è costretto a crescere rapidamente per interfacciarsi con il mondo che si ritrova a dover combattere per essere libero.
Ormai sono sempre più complesse le uscie con gli amici, soprattutto a Valisthea
Dapprima divenendo un Eikon, accettando di essere qualcosa che pensava non potesse concepire, per poi comprendere di essere la rappresentazione stessa della libertà per i più bisognosi, tanto da ereditare un nome diverso che rappresenta il coraggio e la tenacia degli oppressi. Il Purgatorio, dunque, spinge verso il sacrificio:
Clive soffre a tal punto da accettare di divenire un faro di speranza, nonostante non riesca a essere libero per davvero. È però consapevole che il sacrificio è la sua reale condanna, l’unico modo che gli consente di andare avanti e continuare la lotta a dispetto di tutto, persino dei rischi che può incorrere. Il Purgatorio di Clive è la sua espiazione da ciò di cui lui stesso si condanna, specie per gli orrendi misfatti compiuti nel suo viaggio. L’amena selva che separa il Paradiso terrestre dal Paradiso rappresenta il viaggio che il protagonista affronta all’interno della sua anima, consapevole che per affrontare i fantasmi del suo passato, deve anzitutto comprendere da dov’è originata la sua paura.
Perché Clive, anche se la nasconde, ne ha parecchia e non può celarlo a nessuno. Il suo cuore, in costante tumulto, è circondato dai rampicanti della selva che rappresenta l’involucro delle sue speranze perdute e della sua sofferenza. C’è una luce, però, che è la costante della sua stessa esistenza sin da quando era piccino, rappresentata da una ragazza che lo ha salvato dall’oscurità che rischiava di consumarlo per sempre. Se nel Purgatorio Dante parlava della redenzione e dell’incontro con Beatrice alla fine del Paradiso terrestre, era per arrivare a una pace che ha raggiunto a fatica, sostenuto da chi lo ha accompagnato nell’Inferno.
Una lotta perpetua che consuma vittime fino a farle scappare
Clive, in tal senso, lo ha attraversato divenendo parte di esso, facendo entrare quelle fiamme nel suo cuore e diventando lo stesso fuoco che aveva bruciato degli innocenti. Attraverso esse riscopre la sua magia, la sua infanzia e cosa lo ha legato.
È il suo futuro, ora,
da scrivere attraverso quelle stesse fiamme che lo hanno condannato a un lento supplizio.
LA MAGIA DI FINAL FANTASY XVI
La letteratura è un grande punto di contatto con i videogiochi. Amalgamare questi due mondi risulta rilevante proprio per comprendere le sfumature che legano i personaggi, i mondi di gioco e i popoli in maniera convincente e, soprattutto, libera e decisiva. C’è una storia, che colpisce e arriva al suo obiettivo. C’è un ragazzo, che smette di essere tale fin troppo presto. E c’è una speranza vecchia quanto il mondo che vede la fine di tutto e l’inizio di ogni genere di sofferenza.
Insegnamenti come il sacrificio sorreggono quel cielo stello che Bowen osserva per dire addio a Draco
La magia della sedicesima finale parte dal Purgatorio di Clive, estendendosi alla brutalità di un mondo che è incapace di solidificarsi e unirsi a tal punto da essere pronto a contrastare l’isolamento. Insegnamenti come il sacrificio sorreggono quel cielo stello che Bowen osserva per dire addio a Draco. E mentre ciò accade, il giovane Clive accarezza Torgal come faceva quando era giovane, felice ma odiato dalla sua stessa madre per la colpa di non essere un predestinato. Final Fantasy XVI è una storia per gli ultimi raccontata attraverso gli ultimi, come i più umani e colpevoli, come i più distrutti e soli.
E come chiunque altro.