Nell’ultima decade c’è stato un nuovo filone, tutto internazionale, nato nell’anticamera del cervello di Luc Besson, tutto incentrato su produzioni di medio budget, one-man-show con risvolti da cinema muscolare e semplici storie di vendetta. Il franchise di Taken con Liam Neeson è quello che più ha avuto successo, seguito da tanti e diversi emuli; alcuni hanno mantenuto intatto lo stile, altri hanno cercato di svecchiare la formula e reinventarsi (vedi John Wick).
Non meraviglia, dunque, l’intenzione di sperimentare questa linea produttiva anche nel nostro paese, di cui si fa carico Groenlandia, giovane casa di produzione fondata da Matteo Rovere e Sydney Sibilia. L’obiettivo è semplice: creare un contenuto dalla forma e contorni capaci di posizionarsi anche sui mercati stranieri, pur mantenendo la sostanza del miglior cinema italiano. A domare questo cavallo pazzo un inedito Fabrizio Gifuni, spogliato dalle classiche vesti borghesi per regalargli una corsa notturna tra sparatorie, scazzottate e giubbotti macchiati di sangue.
Questa è un po’ la magia del miglior cinema, poter decostruire e ricostruire figure e personaggi atipici per plasmarli su attori impensabili. Gifuni abbandona i folti capelli e la pelle liscia, per lasciar spazio a un taglio totalmente rasato che mette ancor più in mostra gli occhi iniettati di sangue e la lunga barba sozza e lurida. Il suo Leonida è un ex soldato delle Forze Speciali. Nonostante sia tornato a casa, la mente è ancor sul campo da battaglia e nella sua vita isolata i migliori compagni sono gli incubi dei ricordi passati. L’orrore della guerra è sempre lì, alimenta la collera nel suo cuore mentre tutti i suoi cari, moglie e figlio, si allontanano. A guardarlo con occhi dolci è rimasta la figlia più piccola. Nella sua innocenza, quello è e sarà sempre il suo papà, ma quando un gruppo di criminali la rapisce per rivenderla nel mercato di traffico di minori, la furia domata di Leonida si libererà dalle catene per lanciarsi in una violentissima ricerca.
l’interpretazione di gifuni trascina tutto il minutaggio del film con un’interpretazione sublime
Film come La Belva funzionano solo e quando si ha la caparbietà di comprendere fino in fondo il progetto che si ha sotto le mani, così da saperlo indirizzare nei giusti lidi. È inutile spendersi in sceneggiature particolarmente profonde, fini risvolti drammaturgici o affini; il fulcro centrale della storia è la ricerca di una figlia rapita. Nessun altro deterrente al cinema è tanto potente quanto un genitore che si batte, in questo caso con estrema violenza, pur di salvare un membro della sua famiglia. Nella bambina scomparsa in qualche modo Leonida vede riflesso il padre che era, prima degli orrori della guerra in Medio Oriente, prima che il suo stesso paese lo liquidasse con terapie di gruppo e psicofarmaci fino alla fine dei suoi giorni.
Gifuni è un attore dal fisico asciutto e in aiuto arriva trucco e parrucco: occhiaie, felpe e giubbotto dove “rinchiudere” l’attore e farlo muovere con estrema pesantezza. Il passo è lento e trascinante, Leonida sposta tutto il peso del corpo malconcio sulle gambe. Poche battute, tutto sguardi e pugni, il cuore del film è proprio l’interpretazione di Gifuni che si scopre mattatore assoluto, capace di trascinare il minutaggio con una rabbia indomita.
La Belva non è comunque privo di difetti, e più il film cerca di nasconderli, più questi vengono fuori e si concentrano proprio nella concezione di base. Il focus principale è sulla realizzazione delle scene d’azione, lasciando il valore drammaturgico a opere di altro calibro, a fronte di intrecci puntellati di iperboli e nemici caricaturali. Ma nonostante questo, il tunnel di azione e reazione è impressionante, l’attenzione imposta è altissima e difficilmente si riesce a distogliere lo sguardo. Ingredienti perfetti anche per un eventuale sequel.
La limitata distribuzione del film nelle sale è stata del tutto interrotta a causa del Covid-19. La Belva è stato poi acquistato da Netflix che lo ha reso disponibile dal 27 novembre.
VOTO 6.5
Genere: azione, thriller
Publisher: Netflix
Regia: Ludovico Di Martino
Colonna Sonora: Andrea Manusso, Matteo Nesi
Interpreti: Fabrizio Gifuni, Lino Musella, Monica Piseddu, Andrea Pennacchi, Emanuele Linfatti
Durata: 97 minuti