Qualche giorno fa il prode Talarico ha condiviso un articolo del 2014 che ci eravamo colpevolmente persi e che, a mio avviso, racconta una delle robe più geniali mai fatte con un videogioco. Si tratta di un esperimento un po’ folle, ma tutto sommato interessante, che prova a immaginare un modo per decretare “la fine del basket”. In sostanza, un giornalista di SB Nation (sito sugli sport americani del circuito Vox Media) si domandava cosa avrebbe potuto portare al collasso della NBA, e, in seguito a una sorta di mega sondaggio sulle pagine del sito, ha deciso di passare ai fatti simulando l’apocalisse cestistica su NBA 2K14.
Il modo in cui l’ha fatto, però, è notevole: ha inserito seicento giocatori nuovi attraverso generazioni di draft – in pratica, nuovi giocatori che ogni stagione vengono assorbiti naturalmente nel sistema – prive di talento e, soprattutto, dai fisici sproporzionati. In questo modo ha messo, di fatto, sotto stress il sistema di progressione del gioco, che si è dovuto adeguare e gestire quest’ondata di “nuovi talenti” integrandoli nella lega. Ecco, al di là dell’involuzione e dell’apocalisse del basket, i risultati sono a mio avviso straordinari, perché il sistema non ha semplicemente piazzato i brocchi nei quintetti, ma, anzi, ha provato a salvaguardare il talento, con le franchigie che hanno tentato di accaparrarsi i giocatori veri a suon di contratti milionari, riducendo al minimo l’apporto della generazione apocalittica. In campo, allo stesso modo, il basket è cambiato, e le statistiche provano un radicale crollo di tutto ciò che può essere lavoro di squadra, massimizzando, invece, il rendimento dei giocatori di talento man mano che il loro numero diventa più esiguo.
Che sia la gestione di una squadra o di una fattoria, stiamo parlando di uno storytelling senza script in grado di adeguarsi in tempo reale alle nostre decisioni
Questo porta al discorso a un livello successivo, ovvero che la rappresentazione discreta e parziale della realtà dei videogiochi è sostanzialmente una narrazione parallela interessante e spesso sorprendente, e lo storytelling emergente nei giochi di simulazione è probabilmente la migliore espressione “ruolistica” che il medium ha da offrire. Che sia la gestione di una squadra di calcio, di basket, di una città o di una fattoria, stiamo parlando di uno storytelling senza script in grado di adeguarsi in tempo reale alle nostre decisioni. Una peculiarità, questa, che è davvero soltanto dei videogiochi, e che sarebbe interessante vedere sfruttata in altri generi.
Un po’, in fondo, ci provano i roguelite con elementi narrativi, nella misura in cui titoli come The Curious Expedition riescono a raccontare storie sempre diverse sulla base di un ruleset predefinito e un sistema di gioco totalmente adattivo. Mi chiedo se mai, un giorno, sarà possibile spingersi oltre, e riuscire a dare spazio alla singolarità e alla narrazione emergente anche in generi che ne beneficerebbero tantissimo, come i MMORPG, dove un mondo in grado di adeguarsi alle scelte dei suoi giocatori romperebbe la sensazione di predestinazione che permea le quest inevitabilmente uguali per tutti (ci stava in parte provando EverQuest Next, prima che precipitasse nell’oblio, ndKikko). Non so quanto fattibile, ma sarebbe molto bello. Intanto mi consolo pensando che nel momento in cui Kai Havertz diventerà un grandissimo centrocampista, potrò dire “eh, ma lo sapevo già”.