Dopo aver realizzato il gas nervino, Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio) decide di vendicarsi contro quelli che gli hanno rovinato la vita: gli alti dirigenti dell’Istruzione e l’Università La Sapienza, ma prima di questo la missione principale consisterà nell’organizzare un’evasione della banda al completo dal carcere di Rebibbia, considerato uno dei penitenziari più sicuri al mondo. Spetterà al solito Pietro Zinni (Edoardo Leo) impedire la strage.Qualità e difetti, dicevamo. Masterclass, nonostante l’entusiasmo collettivo, aveva mostrato alcuni limiti, in particolar modo narrativi, che venivano intelligentemente nascosti grazie all’ottima alchimia tra gli attori e all’idea di creare, all’interno di una storia già avviata, un ulteriore capitolo che si incastrasse perfettamente nelle vicende.
Sydney Sibilia è bravo a teorizzare in immagini il messaggio che vuole veicolare, nonostante la sceneggiatura non sia delle migliori
Ad Honorem prosegue la sua storia, divisa per l’appunto in due parti, continuando nella medesima rappresentazione tecnica e narrativa, marchi di fabbrica vincenti che ne hanno sancito il successo. Il regista, Sydney Sibilia, è sempre più bravo a teorizzare in immagini il messaggio che vuole veicolare, nonostante la sceneggiatura non sia delle migliori, ma questo rimane un difetto che si trascina dal secondo capitolo (scritto e girato in contemporanea col terzo). I colori sono meno saturi del dovuto, ma sempre incisivi: scelta voluta, perché la storia porterà la banda ad un culmine delle vicende non più da commedia ma dai toni decisamente seri e impegnati. Questa svolta è interpretata e veicolata dal Walter Mercurio di Lo Cascio, chiara rappresentazione di una sfiducia collettiva verso il Paese e per l’università italiana e romana (sfiducia che personalmente sottoscrivo).A trilogia conclusa, e riflettendoci bene, sembra essere stata questa la finalità di regista, sceneggiatori e produttori: ovvero, portare il franchise Smetto quando voglio a compiere un passo importante, qualcosa che – difficilmente – era teorizzabile nel nostro Paese; una trilogia che vivesse di luce propria (in tutti i sensi), e che potessimo ricordare come un’operazione più unica che rara, a dimostrazione che anche il cinema italiano, pur nel suo “piccolo” e con i mezzi a disposizione, può aspirare a qualcosa di più, anche favorendo la finalità produttiva su quella narrativa.
L’ultimo saluto della Banda è di quelli che avvicinano il film al vivere di generazioni
Ammantando di un’aura quasi mitologica i suoi personaggi, calcando la mano su ogni personalità strettamente nerd e sulle relativa difficoltà di comunicazione con un linguaggio comune, ma sempre molto forbito (elemento sempre vincente quando si vogliono costruire le migliori gag), Smetto quando voglio – Ad Honorem conclude degnamente una delle operazioni cinematografiche italiane più interessanti e audaci di sempre.
L’ultimo saluto della Banda è di quelli che avvicinano il film al vivere di generazioni e riesce a immortalare una nitida fotografia del cinema italiano e delle sue possibilità oggi. Oltre al voto in calce, riferito alla pellicola in oggetto, mi permetto di attribuire un 8 generale alla trilogia, per la sua realizzazione, tenacia e coraggio, pur tenendo conto di tutti i difetti presenti, in particolare in questi ultimi due capitoli.
VOTO 7
Genere: commedia, azione
Publisher: 01 Distribution
Regia: Sydney Sibilia
Colonna Sonora: Michele Braga
Interpreti: Edoardo Leo, Stefano Fresi, Paolo Calabresi, Valerio Aprea, Neri Marcorè, Luigi Lo Cascio, Pietro Sermonti
Durata: 96 minuti