Ritorno al passato

Ritorno al passato

È una maledizione quella di avere una buona e lunga memoria: ti porta a ricordare che un tempo il latte veniva venduto nei cosiddetti tetrapak e che poteva essere acquistato in piccoli negozi da vecchiette sdentate con i capelli color neve che ti accoglievano nella loro bottega, a gestione rigorosamente famigliare, come se fossi un nipote prediletto. E che profumo e sapore aveva quel latte, una volta recisa con la lama del coltello la cuspide di quello scrigno di cartone! Ricordi. Memorie. Quel latte aveva qualcosa in più rispetto allo “sbiadito liquido” che beviamo oggi, se non l’aroma della nostalgia?

Il medesimo discorso si può applicare ai videogiochi, laddove l’equivalente del tetrapak è costituito dalla granitica pixel art di sane, vecchie avventure, oppure da giochi di ruolo rigorosamente in visuale isometrica, magari da esperire in tempo reale con pausa tattica, come i primi due Baldur’s Gate, per esempio (capito bene, Larian?). Fortunatamente, è possibile attingere ancora a quel nettare prelibato sia installando nuovamente i titoli del passato che attingendo ad un’offerta maturata soprattutto grazie alla piattaforma Kickstarter. Archiviati, dunque, gli essenziali cinematografici – Mass Effect, Dragon Age, The Elder Scrolls, The Witcher e una pletora di Assassin’s Creed e Far Cry assortiti – ho deciso, complice la tornata di saldi primaverili, di regalarmi un assaggio di quel latte munto secondo i criteri del passato, partendo da Pillars of Eternity (2015), transitando per Torment: Tides of Numenera (2017), sino ad arrivare al recente Pathfinder: Kingmaker (fine 2018).

LO SBARCO IN NOSTALGIA

Mamma mia, che delusione! Personalmente, sono rimasto freddo (ed è dir poco) dopo aver esperito i titoli succitati, e il dubbio che la colpa sia solo mia è forte, perché ormai il mio modo di giocare si è abituato ad avere la pappa pronta: indicatori di missione, personaggi ben chiari con cui parlare, trame “semplici”; insomma, dice una vocina: “Se non ti sono piaciuti è perché non sei più un old gamer”.
passato nostalgia

Pillars, Numenera e Pathfinder seguono la “formula originale”

Ho cercato allora di analizzare le mie partite lucidamente perché, a ben vedere, gli elementi del passato ci sono tutti. Pillars, Numenera e Pathfinder seguono fedelmente la “formula originale” con una interfaccia ricca di opzioni, elementi di trama matura, il bisogno di parlare con i personaggi secondari uno per uno, con il rischio – altrimenti – di dimenticare qualcosa di importante, pena il non poter procedere nell’avventura. Nondimeno, vengono replicati anche i difetti: troviamo un pathfinding impreciso, la necessità di parlare con tutti i personaggi secondari e uno squilibrio bellico avanzando con i livelli (come già detto in questo editoriale). Tuttavia, c’è di peggio.

Pillars of Eternity, per incominciare, fa un errore invero marchiano, quello cioè di raccontare una storia interessantissima a cui però non ci viene consentito di prendere parte: è la Guerra del santo, un conflitto storico-religioso che ha visto due popoli scontrarsi per un ideale. Guidati da Eothas redivivo i raedceriani hanno mosso guerra alla popolazione della foresta di Dyr che ha contrapposto alla divinità incarnata dodici eroi e altrettanti teurghi. Il loro obiettivo? Creare il “martello divino”, una bomba mistico-tecnologica in grado di porre fine all’avanzata di un dio. Ahimè, quanto sopra è raccontato ai margini da PNG e comprimari, mentre il giocatore riveste il ruolo di Osservatore: un personaggio che, a evento già concluso, come da cliché, deve dare la caccia per l’intero gioco all’ennesimo cattivo in fuga, le cui oscure motivazioni vengono svelate solo durante le pesantissime elucubrazioni finali.passato nostalgiaTorment: Tides of Numenera, invece, ha osato molto poco: copia-incollando le “ombre” come una delle nemesi del personaggio, replicando un pub mistico popolato da personaggi-filosofi e una trama di amnesie e ricordi riaffioranti è andato ben oltre il mero rendere omaggio.

in Torment: Tides of Numenera è possibile assemblare uno “scalpello transdimensionale” in grado di tagliare intere sotto-missioni

Soprattutto, dopo un inizio veramente brillante che ha il suo culmine nell’ambientazione “Margine della collina”, dove dimore instabili crollano con il passare del tempo reale mentre il giocatore indugia per accumulare missioni, il titolo ci confina per metà della sua durata nella Fioritura, una sorta di escrescenza tumorale annidata ai piedi delle colline di Sagus Cliffs. Qui, oltre a dover espletare missioni di natura prettamente FedEx, siamo costretti a soddisfare i capricci di questa entità di cui ben poco ci cale; in particolare, dovremo saziare i suoi “stomaci” dotati ciascuno di un particolare appetito. La cosa è talmente noiosa che è possibile assemblare uno “scalpello transdimensionale” (forse un atto di generosità da parte dei dev) in grado di tagliare intere sotto-missioni.

in Planescape la domanda esistenziale viene posta da un villain tragico, memorabile

Tuttavia, Numenera inizia già a perdere colpi durante la parentesi a Miel Avest dove, come da tradizione instaurata dal predecessore, viene posta al giocatore una domanda di natura esistenziale: “Quanto conta una singola vita?”, equivalente di “Cosa può cambiare la natura di un uomo?”. Il problema è che nel Torment originale questo leitmotiv veniva prima accennato da alcuni personaggi secondari, poi maturava in un crescendo, titillandoci e tormentandoci, sino a culminare nella domanda posta da uno dei villain più tragici nonché carismatici della storia del videoludo, e il momento diveniva catartico. In Numenera, di contro, la questione viene sollevata da un personaggio anonimo la cui funzione è unicamente quella di istruire il giocatore sul suo passato (una sorta di database), un character talmente insulso di cui, pur sforzandomi, non ricordo nemmeno il nome.

UN’ARANCIA MECCANICA VIDEOLUDICA

Pathfinder: Kingmaker, infine, è il titolo che meglio ambisce a reclamare il titolo di “vero” erede di Baldur’s Gate. Basando il suo sistema di regole sull’edizione 3.5 di Dungeons & Dragons è il gioco più complesso da gestire, eppure re-imparare queste regole dà immense soddisfazioni. Di più, Kingmaker è un titolo che fa del getto del dado la sua essenza, tanto vero che persino raccogliere alcune more da un cespuglio può portare al ferimento del PG, qualora si fallisse il tiro di difficoltà relativo alla conoscenza delle rerum natura. passato nostalgiaUn titolo “esagerato”, ma anche estremamente tattico e appagante, se non fosse che, dopo un primo capitolo canonico, Pathfinder muta in un gestionale macchinoso e poco soddisfacente. Molti giocatori hanno ben tollerato questa pratica dicendo di aver – tutto sommato – apprezzato la deriva; personalmente, da avido fruitore di titoli manageriali veri e propri (Faraon, Caesar, Zeus), so che quanto offerto da Owlcat Games in questo ambito poco ha a che vedere con qualcosa di fatto bene, e non è un caso che venga offerta al giocatore la possibilità di affidare in toto la gestione del regno all’intelligenza artificiale.

i tre titoli in questione commettono il medesimo errore dimenticandosi che il giocatore deve essere il protagonista degli eventi narrati

In definitiva, i tre titoli in questione commettono il medesimo errore dimenticandosi che il giocatore, o meglio il personaggio da lui interpretato, deve essere il protagonista degli eventi narrati, anche quando questi hanno la “leggerezza” mista all’epicità di un The Elder Scrolls V: Skyrim. Giochi involuti, dunque, dove si “narra” troppo, dove si filosofeggia perdendo di vista il divertimento, dove si “parla” d’altro che non sia il mero aspetto ruolistico, come nel caso di Pathfinder.

Lo sbarco in nostalgia è fallito. Vediamo Ed, ma Ed è morto

Mi rendo conto, alla fine di questo editoriale, di aver imbastito una vera e propria arancia meccanica videoludica nei confronti dei titoli citati. Forse immeritata e resa particolarmente aspra dal latte inacidito della nostalgia, e allora ho prontamente reinstallato i titoli “originali”: Fallout e Planescape: Torment, per dirne due. E pur senza dimenticare che parliamo di titoli “tripla A”, in quanto vantavano doppiaggi di eccellenza e raffinate cinematiche, si nota terribilmente la differenza. Personaggi di un certo spessore, meno prosopopea, maggiore focus sugli obiettivi. Un esempio? L’incipit di Numenera: 15 minuti di testo bianco su sfondo nero quando il Torment originale si apriva con una cinematica di pregevole fattura, e subito facevamo la conoscenza con uno dei companion più carismatici di sempre, Morte. So di avere già accennato la questione in un altro editoriale, ma resto sconvolto da come gli sviluppatori abbiano potuto prendere un simile abbaglio, inescusabile anche se si tengono in considerazione i limiti di budget imposti da una raccolta fondi. Sono certo: la formula originale è andata smarrita. Lo sbarco in nostalgia è fallito. Vediamo Ed, ma Ed è morto.

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