Premessona, perché prima di iniziare a farsi domande, do qualche risposta: ho giocato a tutti i titoli che elencherò e, nella maggior parte dei casi, li ho trovati tra i più interessanti dell’anno in cui sono usciti. Seconda premessa: quando ho iniziato a giocare io, all’epoca NES/SNES/PSX, i videogiochi su console erano quasi esclusivamente giapponesi, e ho quindi formato il mio gusto e, in un certo senso, la mia idea di videogioco sulla base di questi. Sono stato un amante dei JRPG, mi sono beccato “in piena fazza” tutte le loro storie giappo-adolescenziali senza senso, godendomele alla grandissima. Ho fatto pace con l’idea che spesso e volentieri le mie volontà avrebbero cozzato con la direzione che prendeva la storia. Lo specifico perché oggi non è così scontato, e il finale di Mass Effect 3 è stato un precedente pericoloso e malsano.
Finita la premessa, il punto di questo editoriale è chiederci tutti insieme cosa diavolo è successo negli ultimi dieci anni di produzione giapponese. Tra il 2015 e il 2016 sono usciti tre colossi che da soli hanno sostenuto il peso dell’aspettativa verso un mercato stanco e arretrato. Metal Gear Solid V, Final Fantasy XV e The Last Guardian hanno impiegato rispettivamente quattro, dieci e nove anni di sviluppo prima vedere la luce. Le cose si complicano ancora di più pensando che Kingdom Hearts III, che suppongo rappresenti la seconda serie per importanza in quel di Square Enix, è in lavorazione da undici anni e non ha ancora una data d’uscita.
Si sono visti tre capitoli di The Witcher nel tempo che è servito a Square Enix per mostrare un trailer convincente di Kingdom Hearts III
Ora, però, cambiamo prospettiva, perché la vita di una persona forse non è il modo migliore per misurare il tempo che passa in relazione ai videogiochi. Negli undici anni di sviluppo necessari per Kingdom Hearts III, o nei dieci di Final Fantasy XV, o nei nove di The Last Guardian, la saga di Assassin’s Creed ha visto la luce e ha partorito un seguito di nove capitoli. Uno per ogni anno, almeno. Ora di Assassin’s Creed si può dire ciò che volete, ma non che i suoi episodi non siano realizzati con cura per i particolari. Vi faccio un altro esempio: la saga di Uncharted è nata, cresciuta e morta, con quattro capitoli all’attivo, più uno su portatile, e senza contare The Last of Us. Uncharted è una saga che per scrittura e perfezione d’esecuzione setta sempre nuovi standard. Vogliamo giocare nello stesso campionato? Perfetto, nei nove anni che sono trascorsi un piccolo, praticamente sconosciuto, studio polacco ha preso un personaggio classico della loro letteratura moderna e ne ha fatto un’icona dei videogiochi: tre capitoli di The Witcher nel tempo che è servito a Square Enix per mostrare un trailer convincente di Kingdom Hearts III. Non vi devo raccontare quanto sia vasto, bello e incredibile The Witcher 3. Più di quanto non sia Final Fantasy XV, al di là di ogni ragionevole gusto.
La prospettiva di giocare a Final Fantasy XVI tra dieci anni, alla soglia dei quaranta, mi atterrisce