Unravel - Recensione

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Qua in redazione siamo come degli orsetti coccolotti. Specialmente Kikko, che fa sempre il broncio e poi è un gran tenerone. Questo perché quando vediamo un gioco come Unravel non possiamo fare a meno che sperticarci in spremute di cuore a proposito della dolcezza del protagonista, Yarni. Ed è pur vero che è difficile resistere al fascino di un titolo presentato in quel modo, durante l’E3 dello scorso anno: Martin Sahilin che sale sul palco dei giganti quasi incredulo, stringendo tra le manine tremanti un pupattolo del suo protagonista di lana, nervoso come un ragazzino al primo appuntamento. La stessa reazione che avrebbe avuto ognuno di noi, e questo ce l’ha reso subito simpatico.
C’è da dire che Unravel è pur capace di reggersi da solo sulle sue morbidissime gambette: già dal trailer sembrava avere una solida base platform a cui sommare una meccanica interessante relativa alla natura lanosa del protagonista. Più di tutto però, ciò che ti prendeva il cuore al guinzaglio e lo portava a spasso per il parco, era la malinconia che infestava i due minuti scarsi della presentazione. Una sensazione che nasceva dalla commistione perfetta di musiche, aspetto tenerello della mascotte e una direzione artistica perfetta.

COME UN FILO ROSSO

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Il titolo completo non smentisce le premesse e ti rifila, una dopo l’altra, tre stilettate al cuore nel corso dei primi cinque minuti di gioco. Prima di tutto una schermata di ringraziamento da parte dell’autore e del team di sviluppo, poi una vecchietta che sfoglia un album di ricordi e sospira malamente, e poi Yarni, generato da un gomitolo di lana rosso e morbido come una carezza materna sul viso. Come fai a dire male di questo gioco senza sentirti un vile?

Unravel riesce a essere triste, dolce e nostalgico allo stesso tempo, ma mai stucchevole

Nella casa dell’anziana è possibile sfogliare lo stesso album di vecchie fotografie che la donna consultava nell’introduzione, ma inizialmente le foto appariranno tutte offuscate. I ricordi legati all’album andranno sbloccati affrontando i livelli relativi a questa o quella memoria. Ecco allora che si muovono i primi passi all’interno di questo vero e proprio hub, dove è possibile entrare nelle cornici che racchiudono i fotogrammi dei momenti cari alla vecchina. Questo catapulterà Yarni all’interno del ricordo stesso, alla scoperta di quegli istanti incastrati in foto ormai sbiadite, sempre con quella malinconia che Unravel ti getta in faccia come innocui coriandoli di Carnevale, sottolineata da un accompagnamento musicale splendido. Ecco, una delle caratteristiche più azzeccate di Unravel è che riesce a essere triste, dolce e nostalgico, ma senza risultare mai stucchevole o pedante. Un centro pieno che non era mica facile ottenere, specialmente per un titolo praticamente muto, che deve quindi affidare tutta la sua capacità comunicativa all’immagine. Dopo aver affrontato un livello e aver recuperato il trofeo di lana alla fine, le foto all’interno dell’album diverranno finalmente nitide e si potrà così consultare la vera componente narrativa del titolo, sbirciando nei momenti più significativi della donna e della sua famiglia.

LA FISICA DEL FILO

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Pad alla mano, le influenze più palesi di Unravel sono riconducibili tanto a Little Big Planet, quanto a Limbo. Se dovessimo analizzare il titolo di Coldwood Interactive, infatti, a livello di puro gameplay ne uscirebbe fuori un platform semplice semplice in cui avanzare sfruttando la fisica degli elementi dello sfondo, proprio come succedeva in Limbo. Bisogna spostare gli oggetti per creare punti più adatti per i salti o sfruttarli per superare distese d’acqua, voragini o altri ostacoli dello scenario. Quello che rende Unravel più originale è la meccanica del filo: Yarni srotola il suo corpicino mentre progredisce nel livello proprio perché la lana viene utilizzata continuamente per interagire con gli oggetti, calarsi lungo discese particolarmente ripide o, semplicemente, per creare ponti sospesi da attraversare.

La meccanica del filo di lana rende Unravel più originale di Limbo, al cui gameplay si ispira

Quando Yarni è a corto di filo, e non può più muoversi perché non ha più un centimetro di corpo da lasciarsi alle spalle, allora il giocatore è costretto a tornare indietro e studiare una strategia che gli permetta di risparmiare movimenti. Soltanto una volta raggiunto il nuovo gomitolo di lana è possibile progredire. La meccanica inserisce una declinazione interessante a una formula altrimenti davvero poco originale e, soprattutto, aggiunge un po’ di pepe a situazioni che non rappresentano mai una vera e propria sfida all’abilità del giocatore. Unravel, infatti, pur restando un buonissimo titolo e mantenendosi divertente da giocare lungo le sette ore necessarie a portarlo a termine, non riesce mai davvero a innovarsi, proponendo spesso situazioni già viste che il giocatore ha completamente assimilato. Non c’è mai una vera sfida che impegni per più tempo del dovuto; non c’è mai uno sguardo cattivo verso il giocatore. Il gioco è docile e dolcissimo come lascia intendere.

UN PICCOLISSIMO MORBIDO MONDO

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La dolcezza endemica del mondo di Unravel è un’arma a doppio taglio: da un certo punto di vista pone in primo piano il valore esperienziale dell’avventura, piacevole, mai proibitivo, che si lascia affrontare col sorriso, riempendo il giocatore di bacini in fronte pieni d’amore; dall’altro lato potrebbe rappresentare, per l’utente più scafato e in cerca di una vera sfida, un’occasione mancata per via dell’eccessiva semplicità.

Unravel è dolce, dolcissimo, e non si preoccupa mai di metterci in difficoltà

Non stiamo parlando di un platform che si completa da solo, ma in cui non è raro trovarsi di fronte a enigmi talmente semplici da fraintenderli, adottando soluzioni più complesse del previsto e restando incastrati per più tempo del dovuto. In realtà le risposte ai rompicapo che il titolo propone sono sempre le più lineari e, man mano che si sviluppa l’affinità con le meccaniche, diventano sempre più banali da risolvere. Per quanto mi riguarda, però, non posso che premiare il titolo perché ho trovato in Unravel quella dolcezza che mi aveva conquistato dal trailer: come il filo rosso di Yarni, che lega tra loro situazioni, oggetti, persone e ricordi di una vita con la delicatezza di un gomitolo di lana.

Unravel è un titolo dolcissimo, capace di centrarvi il petto con un TIR carico di buoni sentimenti. Non brilla per il gameplay particolarmente raffinato, e di certo non sarà ricordato per l’originalità delle meccaniche legate al filo di Yarni, ma offre un’esperienza piacevole e capace di restarvi nella mente tanto per la direzione artistica, davvero ben riuscita e capace di citare perfino il Pikmin di Nintendo, quanto per il suo modo di comunicare al giocatore attraverso l’immagine e grazie a quel grande cuore che si ritrova.

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Pro

  • Dolcissimo e adorabile.
  • Confezionato in maniera divina.

Contro

  • Non propone mai una sfida ardua.
  • Il gameplay non presenta evoluzioni nel corso dell'avventura.
8

Più che buono

Avete presente quelle persone che sembrano un po’ ciula, ma poi non lo sono affatto? Ecco… non è il caso di Fabio, battezzato in tanti di quei modi da fare il giro (scegliete voi tra De Luigi, Stefano Accorsi o Stanis). Per lo meno ci mette l’anima, nonostante proprio non gli riesca di pronunciare “pala eolica” come a tutti i comuni mortali.

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