The Last Guardian - Recensione e Videorecensione

PS4

Ancora non riesco a crederci di aver giocato e finito uno dei titoli più attesi della storia videoludica (e non lo dico a cuor leggero). The Last Guardian, fin dal suo annuncio nel lontano E3 del 2009, si è guadagnato un posticino tutto speciale nell’immaginario di moltissimi giocatori, nel mio in particolar modo. Personalmente ho amato senza se e senza ma tanto ICO quanto Shadow of the Colossus, due produzioni che hanno saputo emozionarmi come poche, tanto da averle rigiocate da cima a fondo anche nelle splendide remastered uscite nel 2011 su PlayStation 3. Il bellissimo rapporto simbiotico fra Ico e Yorda era permeato di un romanticismo assai raro, per non parlare della fantastica avventura di Wander e del suo destriero Agro, in quella impossibile e disperata lotta contro immensi colossi apparentemente inarrestabili. Due giochi strepitosi, emozionanti, unici nel loro genere, soprattutto al momento del loro esordio. Con una premessa del genere, potete ben immaginare quali aspettative vi fossero nei confronti di questo ultimo e difficilissimo parto di Fumito Ueda.

TEMPUS FUGIT

Del complicato e lungo decorso che ha portato alla luce The Last Guardian si conoscono molti particolari. Lo sviluppo iniziò nel 2007, poco dopo il lancio di PS3, console già di suo caratterizzata da un esordio quantomeno complicato. Un hardware difficile per un titolo che sembrava smisuratamente ambizioso fin dal suo primo trailer, che solo in tempi recenti abbiamo scoperto essere un mezzo falso: sì, perché la grafica era quella, ma il frame rate proprio no, tanto che lo raddoppiarono artificiosamente durante la fase di editing. Animare una creatura così complessa, in un mondo di gioco dalle proporzioni enormi, deve essere stato un incubo per un gruppo di sviluppatori così minuto come il Team Ico. Il codice fu sottoposto a notevoli ottimizzazioni con il passare del tempo, coinvolgendo anche studi occidentali dalle ben note capacità come i Santa Monica di God of War. Nonostante tutti gli sforzi, però, il caro Ueda sembrava incapace di portare a termine la sua opera, tanto che nel 2011 avvenne la scissione con Sony, in quello che a molti parve una sorta di epitaffio. Eppure, dopo aver fondato i genDESIGN, lo sviluppo è andata avanti, spostandosi poi su PS4 e trovando nel nuovo hardware firmato Mark Cerny le giuste risorse per poter finalmente portare a compimento questa complessa opera.

the last guardian recensione ps4 immagine

The Last Guardian risulta afflitto da numerose problematiche, alcune piuttosto importanti

Certo è che quando i tempi si dilatato così tanto non è affatto improbabile che gli strascichi finiscano con lasciare qualche evidente cicatrice, proprio come è accaduto di recente per un altro titolo dalla biblica gestazione, Final Fantasy XV. Come per il discusso J-RPG di Square Enix, anche The Last Guardian risulta afflitto da numerose problematiche, alcune piuttosto importanti, ahimè. Ci arriveremo per gradi, quindi mettetevi comodi.

UN TRICO PER AMICO

Un particolare sul quale Fumito Ueda ha costantemente posto notevole enfasi è il rapporto fra il giovane protagonista senza nome e la sua (enorme) spalla, Trico. Questa bizzarra creatura, simile ma non uguale a un grifone, dal comportamento a tratti imprevedibile, è di fatto l’elemento che rende l’intera esperienza assolutamente singolare (Majin and the Forsaken Kingdom permettendo, per chi se lo ricorda). Nei primi momenti si tratta giusto di conquistare la sua fiducia, ma con il proseguire della storia il rapporto si farà via via più profondo, tanto che a un certo punto potremo far eseguire a Trico alcuni semplici comandi, come muoversi verso una determinata direzione o, più semplicemente, saltare. L’interazione fra i due diventerà sempre più prominente nel corso del gioco, seppur con alcuni evidenti limiti, dovuti alla natura stessa di Trico, che rimane fondamentalmente una bestia, amichevole sì, ma comunque non proprio propensa a eseguire i nostri ordini pedissequamente. Sarà anche un comportamento più realistico, ma resta il fatto che il più delle volte si ha la sgradevole sensazione che questa sia più una scusa per giustificare una mediocre intelligenza artificiale che altro. In troppe occasioni ho riscontrato un comportamento anomalo, scostante, a tal punto da spazientire anche un santo: se questo voleva essere lo scopo di Ueda e compagni, allora hanno centrato davvero l’obiettivo, ma in ogni caso non hanno certo reso il gioco più divertente o intrigante. Semmai il sentimento prevalente è la frustrazione.

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Trico è senza dubbio alcuno la creatura più bella e incredibile che abbia mai visto muoversi in un videogioco

Il che è davvero un peccato, perché al di là delle sue idiosincrasie, Trico è senza dubbio alcuno la creatura più bella e incredibile che abbia mai visto muoversi in un videogioco. La qualità delle animazioni che ne caratterizzano ogni movimento è qualcosa che va vista per crederci, contribuendo a conferirgli un aspetto sorprendentemente realistico, nonostante le assurde fattezze e la mole mastodontica. Ha atteggiamenti che ricordano moltissimo sia un gatto che un cane, pur con un corpo ricoperto prevalentemente di bellissime piume che si muovono al vento con una fisica da mozzare il fiato. E poi c’è il ragazzino che rompe la magia, con il suo anomalo design da anime, le animazioni ragdoll vecchio stile, i movimenti nevrotici, quasi da era digitale (cammino o corro, vie di mezzo non ne conosco). Non sono riuscito a farmelo piacere in alcun modo, sarà anche perché da controllare è mediamente terribile, con il suo incedere incespicante e la sensazione che sia sempre a un passo dal cadere in qualche dirupo. Per fortuna è un’eventualità più legata a qualche bug che altro, dato che è quasi impossibile riuscire a precipitare laddove non sia previsto.

TELECAMERA, QUESTA SCONOSCIUTA

Non bastassero i succitati problemi di IA e il mediocre controllo del protagonista, ci si mette anche la telecamera a incasinare ulteriormente le cose. Premessa: riuscire a tenere nella stessa inquadratura sia Trico che il ragazzino deve essere costato mesi insonni al povero programmatore che si è trovato con questa incombenza da risolvere; ciò detto, il risultato finale rimane tutt’altro che memorabile. Non di rado la camera finisce in mezzo al piumaggio della creatura oppure dietro qualche ostacolo, impedendoci anche solo di intuire cosa diavolo stia succedendo sullo schermo. A volte diventa davvero una lotta impari, specie nelle aree più chiuse, dove per forza di cose le inquadrature si fanno più strette e claustrofobiche.

Trico rimane fondamentalmente una bestia, amichevole sì, ma comunque non proprio propensa a eseguire i nostri ordini pedissequamente

Su tutto questo grava il peso di un gameplay d’altri tempi, non esattamente al passo delle odierne produzioni (ma nemmeno in confronto a Shadow of the Colossus, davvero di tutt’altra pasta). Il gioco è di fatto una sorta di enorme puzzle game ambientale, dove l’unico costante obiettivo consiste nel riuscire a trovare un sistema per passare da un’area all’altra. Che sia una leva da tirare, una zona nascosta da raggiungere o, più probabilmente, una qualche interazione con Trico, le cose da fare non mancano; peccato che il più delle volte tocca andare per tentativi puramente casuali, data la quasi totale assenza di qualsivoglia suggerimento. Andrebbe anche bene così, se non fosse che la bestia a volte non reagisce ai nostri stimoli, il ragazzino non riesce a interagire correttamente con l’ambiente e via di questo passo, fino a scoprire che certi passaggi inusitatamente complicati sono tali solo per evidenti problemi di game e level design. Perché un conto è spremersi le meningi per capire il da farsi, un altro è non riuscirci perché un qualche misterioso bug ti impedisce di andare avanti. A titolo d’esempio, ho perso quaranta minuti buoni in una sorta di grotta semi sommersa, dalla quale potevo uscire solo con l’aiuto di Trico. Risultato? Ogni volta che il mio adorato topocane provava a immergersi, dopo infiniti tentavi fra l’altro, si bloccava sul più bello e tornava indietro… salvo riuscirci al primo colpo una volta ricaricato il checkpoint, sintomatico di un qualche serio problema con l’IA.

C’ERAVAMO TANTO AMATI

Sebbene nelle quasi dodici ore che mi hanno portato ai titoli di coda ho più volte masticato amaro, non ho potuto fare a meno di rimanere a bocca aperta di fronte alla maestosità di alcune ambientazioni e all’eccezionale qualità di determinate sequenze, caratterizzate da una fisica davvero spettacolare. Certo, la grafica sembra spesso trapiantata da PS3, con un aliasing non sempre risolto correttamente e un frame rate che in alcune istanze si perde per strada. Fra l’altro, a esclusione dell’HDR (oltretutto presente anche su PS4 standard), il supporto PS4 Pro pare del tutto assente, sebbene a tal proposito dovrebbe giungere una nuova patch in tempi abbastanza stretti. Ciò detto, lo stile del Team Ico trasuda praticamente da ogni luogo e ancora una volta sembra davvero di muoversi in un mondo antico, dimenticato e misterioso. Quando tutto funziona bene, le emozioni si accendono e si ha l’impressione che la magia di ICO e Shadow of the Colossus sia ancora lì; peccato solo che questi momenti durino troppo poco. Lo stato d’animo prevalente è quello di una delusione grandissima, probabilmente peggiorata da un’attesa a dir poco eccessiva, che ha finito con il caricare di enormi aspettative una produzione giunta al suo compimento ormai fuori tempo massimo. Credetemi, non avrei mai pensato di finire questa recensioni con tali parole, eppure…

Ho cercato disperatamente di farmi piacere davvero The Last Guardian, provando ad andare oltre le sue evidenti mancanze, ma nonostante i miei sforzi, alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza. Fumito Ueda sarà anche riuscito a portare a compimento la sua opera, ma sfortunatamente non tutto è andato per il verso giusto, rompendo l’incantesimo delle precedenti produzioni. Pur con i suoi momenti speciali, è impossibile chiudere gli occhi di fronte a un gameplay spesso snervante e farraginoso, dove la narrazione non riesce a essere davvero coinvolgente, fallendo proprio dove avrebbe dovuto porre maggiormente l’accento, nel rapporto fra il giovane protagonista e Trico, pur nell’eccezione del toccante finale. Forse da tutto questo Ueda, Sony e anche noi giocatori dovremmo trarne un’importante insegnamento: innamorarsi troppo di un’idea può rivelarsi finanche fatale.

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Pro

  • Alcuni momenti brillano di luce propria…
  • Trico è davvero una meraviglia per gli occhi.
  • Visivamente offre alcuni scorci davvero notevoli.

Contro

  • … ma la maggior parte proprio no.
  • IA molto problematica (voluta o meno che sia).
  • Telecamera pessima in molteplici occasioni.
7

Buono

Sta lì, sornione e silenzioso alla scrivania, come se non esistesse. E invece esiste eccome, il TMB redazionale, grazie al quale ogni newser la mattina si alza sapendo che deve correre più veloce di lui, se vuole mangiare. Attenzione, però, a non lasciarlo da solo con un mojito, perché potrebbe finire tutto a schifio in un amen.

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