Ti sei ricordato di lodare il sole?

lodare il sole

È assurdo come un semplice videogioco sia in grado di condizionare le tue giornate, anche solo riportandoti alla mente un tormentone di quelli che sai che non ti abbandoneranno per molti, moltissimi anni. Nonostante la mia lunga vita da videogiocatore, che mi ha visto seguire con passione l’era d’oro delle avventure LucasArts, la nascita del gioco di ruolo online, del gaming competitivo e l’avvento di qualche pietra miliare impossibile da dimenticare, le mie abitudini e i miei gusti da “gamer” sono mutati drasticamente nel lontano 2012, principalmente per colpa di un losco figuro che milita proprio tra queste pagine virtuali. Lui non lo sa, e nemmeno può immaginarlo, e credo che sia finalmente giunta l’ora di puntare il dito accusatorio. E sì, Fabio Di Felice, ce l’ho proprio con te.

Essendo da sempre un fiero membro della master race, ho ignorato per praticamente tutta la mia vita le esclusive per console, perdendomi per strada titoloni incredibili che non ricevevano nemmeno uno sguardo dal sottoscritto (ma giuro che recupererò). Questo fino a quando, armati di locura e voglia di conquistare il mondo, ci recammo in compagnia di altri bellissimi figuri denominati “I più belli della festa” nei meandri di quel luogo meraviglioso chiamato Archivio Videoludico, nel cuore di Bologna. Peccato solo fosse estate inoltrata, con un caldo asfissiante e con la capitale emiliana deserta: solo litri di centrifuga di anguria e zenzero ci donavano refrigerio, oltre ai centinaia di videogiochi disponibili per la nostra full immersion di studio ludico.

Io ero lì, tra una PlayStation 3 e una Xbox 360, a guardare come un alieno decine di titoli a me praticamente sconosciuti, e ascoltavo il buon Di Felice commentare le varie “portate” di quel magnifico menù. Poi, annuendo fiero, puntò il dito su una custodia che raffigurava un cavaliere circondato da un alone azzurro. “Oh regà, nun potete capì, questo ve fa’ bestemmia’ tutti i santi”, aggiunse fiero della propria recensione in dodici parole. Così, mentre il sole stava lentamente rosolando la bella Bologna, chiuso in uno stanzino insieme a una decina di loschi figuri, vidi per la prima volta Dark Souls.

lodare il sole

Con Dark Souls per la prima volta ho veramente sofferto il non poter giocare a un videogioco

Ne rimasi per non so quale mistero folgorato: vuoi per l’ambientazione che strizzava l’occhio al fantasy-medievale, vuoi per quel genere cappa e spada che mi ha sempre appassionato, per la prima volta ho veramente sofferto il non poter giocare a un videogioco. Poche settimane dopo, quando ormai ero riuscito a trovare la pace, su Steam trovai una delle più belle sorprese della mia vita: l’opera di Miyazaki era disponibile all’acquisto, in una – per me buffa – versione Prepare to Die Edition. Il cursore del mouse volò alla velocità della luce sul tasto “acquista”. Armato di un controller tristissimo (acquistato per pochi spicci dal “solito” rivenditore che tutti conosciamo), ho mosso i miei primi passi a Lordran. Ovviamente non c’ho capito nulla.

Andavo avanti. Morivo. Rinascevo. Morivo di nuovo. E superare il primo, vero, boss della mia vita, il Demone Toro, è stata un’esperienza che mi accompagnerà fino alla morte. Giocavo, ma non capivo quello che accadeva attorno a me, tanto che mollai l’osso ben prima di suonare la seconda campana, con buona pace del mio grande entusiasmo. Esplorare ogni nuova area mi regalava sia ansia, sia indicibili gioie, eppure mi mancava qualcosa all’appello. Dark Souls, incredibilmente, finì per prendere polvere nella mia libreria digitale, e mi guardai bene di farne parola con qualcuno. Il destino, o chi per lui, si sa a volte fa scherzi strani, e diversi mesi dopo – nello stesso numero in cui intervistai Richard “Lord British” Garriott (il 312, per l’esattezza) – quel genio del Cinese, che c’ha sempre visto più lungo di tutti, intervistò un ragazzo chiamato Michele. Conosciuto anche come Mike of the Desert, sul web.

Catturato dalle belle parole del Turrini e di Sabaku, ho così avviato YouTube (piattaforma che apprezzo ben poco, lo ammetto) per scoprire cosa fosse questa Anima Oscura che aveva fatto innamorare il nostro Roberto. Rimasi folgorato in pochissime ore: finalmente avevo compreso che il mio approccio verso l’opera di Miyazaki era completamente sbagliato. Sì, potevo fregarmene di tutto e tirare spadate e fendenti contro morti e demoni, ma non mi bastava: ciò di cui avevo bisogno era proprio un Sabaku che mi facesse da guida turistica per Lordran, spiegandomi l’importanza delle descrizioni, dei particolari e qualche segreto di un mondo così oscuro quanto affascinante per il sottoscritto. L’appuntamento con Michele, a sua insaputa, era diventato una vera e propria prassi: dovevo sapere di più, dovevo capire da cosa originava il Segno Oscuro, dovevo comprendere il destino dei tanti personaggi che incrociavamo durante la nostra triste e pericolosa crociata. Così, una volta incrociati i titoli di coda su YouTube, decisi che era finalmente giunto il tempo di fare “mio” Dark Souls, affrontandolo senza particolari sorprese ma comunque sudando le solite sette camicie per raggiungere Anor Londo e avere la meglio su Ornstein e Smough, seguendo sì i consigli di Sabaku ma giocando “come volevo io”, con armature, armi e incantesimi affini al mio stile.

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Dopo aver raggiunto un importante obiettivo, non vedo l’ora di vedere come si è comportato Sabaku nella mia stessa situazione

Da quel momento qualcosa è cambiato dentro di me, e ogni volta che mi avvicino a un Souls entro in una specie di guscio protettivo che mi tiene al riparo da spoiler e sgradite sorprese. Dopo aver terminato la mia partita, compiendo anche grossolani errori e ignorando NPC, dialoghi e zone opzionali, ho in qualche modo bisogno di guardare il buon Michele mentre affronta l’avventura, vederlo compiere errori e sentirlo partorire teorie talmente folli quanto verosimili per cercare una giusta – se si può definire tale – interpretazione all’opera. E tutto ciò, in barba a tutto, sta accadendo anche in questi giorni, grazie finalmente alla mia prima partita a Bloodborne dopo ben tre anni dalla sua pubblicazione: sono riuscito incredibilmente a schivare ogni forma di spoiler, e sto affrontando Yharnam con la stessa curiosità, paura e riverenza con cui ho esplorato Lordran, Drangleic e Lothric. E ovviamente, dopo aver raggiunto un importante obiettivo, non vedo l’ora di vedere come si è comportato Sabaku nella mia stessa situazione.

Ho cercato più volte di comprendere i motivi che mi spingono a “spiare” la partita di Michele, e sono giunto alla conclusione che, essendo arrivato bene o male in ritardo rispetto al resto del mondo sui titoli di Miyazaki, vedere e sentire Sabaku affrontare le mie stesse situazioni è – almeno per me – una pratica paragonabile alle chiacchierate che facevo tra amici al bar, laddove ci si confidavano i segreti scoperti per caso sui videogiochi più disparati, quando ancora internet era poco diffuso e le guide erano più uniche che rare. Certo, questo rapporto è unidirezionale, anche perché non ho mai avuto occasione di scambiare due chiacchiere con Mike, nonostante le nostre parole siano a poche pagine di distanza sulla rivista più bella del mondo; eppure il mio seguirlo riesce a colmare quella spontanea curiosità da videogiocatore che prima di cercare risposte su una Wiki preferisce ascoltare le storie di altri “commilitoni”.

Ormai il genere soulslike, con i propri punti di forza e debolezza, è diventato una realtà, e per quanto i vari titoli continuino ad affascinarmi è dura per me trovare le stesse emozioni regalate dal game director giapponese. E ora che Dark Souls sembra essere giunto al termine, e che sto lentamente arrivando all’epilogo di Bloodborne, ho dannatamente paura di rimanere senza questa mia splendida “droga”. Sono comunque sereno e felice, perché dopo aver vissuto in solitarie e – in qualche modo – in compagnia questo splendido viaggio, quando decido di lodare il sole in mezzo alla strada c’è sempre qualcuno che si unisce, in una tanto bizzarra quanto rincuorante “Jolly Co-operation”.

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