Ho temporeggiato a partorire queste parole, a quasi dieci giorni dalla visione del film, sapendo che arriveranno online comunque a ridosso dell’uscita al cinema. Questo perché Toy Story 4 è stato un film per il quale, a fine visione, durante i titoli di coda, mi sono guardato attorno per verificare se altri miei colleghi della stampa stavano accennando ad un applauso. Tutti fermi, poi qualcuno ha battuto le mani, altri gli sono andati dietro ma con forte titubanza, compreso il mio applauso.
Nel momento in cui lo sceriffo Woody si guarda sotto lo stivale e trova scritto Bonnie, invece che Andy, sentiamo il sentimento del giocattolo: qualcosa è cambiato.
Il lascito di Toy Story 3 ai giovani come ai più grandi è quello di una storia così stratificata di un legame indissolubile tra giocattolo e bambino che, nonostante fosse arrivato ad anni di distanza dal secondo capitolo, il film si dimostrò capace di narrare ancora una storia, l’ultima, la più estrema, l’event horizon del cinema d’animazione. Woody e Buzz, un abbraccio mentre guardano Andy andare via. Chiusura sul nero.
In questo senso, dopo la comunicazione della politica del film inedito alternato a sequel da parte della Pixar, nemmeno Toy Story non poteva salvarsi da un quadro simile, Toy Story 4 è appena arrivato e l’unica cosa che sono riuscito a partorire in questi giorni è una doppia affermazione, le cui parti si alternano a vicenda: Toy Story 4 è un ottimo film, ben scritto e profondo, ma è assolutamente inutile e palesemente forzato nella sua esistenza all’interno della serie.
Cambiando drasticamente le carte in tavola, Buzz viene relegato a personaggio fin troppo marginale, quasi una macchietta, mentre il focus è tutto su Woody.
Abbiamo conosciuto lo sceriffo decenni fa, mentre cercava di far ambientare il nuovo action figure spaziale di Andy, e oggi lo ritroviamo di nuovo a cercare di salvare Forky, giocattolo creato da Bonnie stessa che, nato dalla spazzatura, ha una malsana voglia di ritornare nel bidone dei rifiuti, invece di essere il giocattolo di supporto nel periodo d’asilo della piccola bimba.
Woody si dimena, non ci dorme la notte, è davvero quel tipo di sceriffo solitario su cui si costruivano i migliori western anni ’30, con eroi impassibili ad aspettare l’arrivo di una nuova sfida, ma questa si dimostra ben più grande di lui e, nel particolarissimo caso, si rivela essere qualcosa che forse non gli appartiene più, perché Bonnie avrà nuovi e altri interessi nei suoi momenti ludici.
Toy story 4 è sì un bel film, ma anche inutile nell’economia narrativa della saga
Lo stacco arriva con la ritrovata Be Peep che mette i pantaloni e vive come giocattolo smarrito consapevolmente, senza tutta quella negatività che lo stesso Woody urlava nel primo capitolo, quando aveva mancato di poco l’automobile della mamma di Andy per ritrovarsi perso assieme a Buzz nella stazione Dinoco.
La ricerca della perduta compagna, il salvataggio di Forky dalle losche mani della bambola Gabby Gabby e la consapevolezza di non essere più un giocattolo di Andy, pone lo sceriffo Woody su una forte riflessione personale, quasi esistenziale per come viene posta. Ad accompagnare l’avventura ci sono tante facce ritrovate e altre inedite; purtroppo, però, nessuna di queste ha il giusto spazio per mostrare le proprie potenzialità e, anzi, i nuovi giocattoli appaiono costruiti sulla falsariga di tanti altri precedenti, con sogni, speranze e traumi derivati dai rispettivi padroni. In parte, questo ripetersi di situazioni è stato il marchio vincente del franchise, parlando di rispetto, amicizia, crescita e identità, quel famoso “mondo dei giocattoli” si è mostrato sempre più articolato e complesso nell’arco dei tanti capitoli.
Al netto di una qualità che rispecchia tutti i crismi precedenti, proprio in virtù del fatto che in Toy Story 4 tutti gli altri balocchi vengono elusi dal focus introspettivo che colpisce direttamente solo Woody, ampliando quella che possiamo definire la sua missione da giocattolo, è impossibile non accorgersi di come tutto il racconto arranchi sulle sue stesse gambe, condito da un finale così frettoloso e mal contestualizzato che difficilmente riuscirete a provare vera empatia.
La scopo finale del film, dunque, si palesa senza filtri: Toy Story 4 vuole essere qualcosa di dichiaratamente diverso, almeno in termini narrativi, rompendo l’armonia costruita sul finale del terzo capitolo, per proporre un’ulteriore spaccatura e relativa avventura che si concluderanno con un epilogo ben distinto per ogni giocattolo. Purtroppo, però, questo cambio di rotta corre parallelo alla sensazione che si vive quasi costantemente, facendoci chiedere ogni manciata di minuti se, per quanto scritto con sapienza e contenuti di qualità, il film non sia stato solo un vezzo, un concept per un corto come altri della saga, tramutato in un secondo momento in un lungometraggio.
Questo non è dato sapere; al netto di quel che ho visto, le emozioni fanno da padrone, chiaramente si cerca di replicare il lungo addio del precedente capitolo quando, invece, il film sembra sempre più chiaramente rifarsi al primo , laddove il bisogno di chiudere il cerchio favorisce una fruibilità maggiore nel momento ci cui si ricollega con i primissimi temi affrontati, quale l’identità e la necessità di trovare il proprio posto nel mondo. Non a caso, il giocattolo doppiato in originale da Keanu Reeves vivrà una simile sindrome di abbandono motivandosi a suon di utopie, qualcosa che la saga di Toy Story ci ha insegnato a vedere come pregio e mai come difetto.
Piccola nota a margine: la scomparsa di Fabrizio Frizzi è un colpo al cuore tremendo, ma Angelo Maggi, nuova voce di Woody, esegue un lavoro certosino, omaggiando il collega con una prova di professionalità senza pari.
VOTO 8
Genere: animazione
Publisher: Disney
Regia: Josh Cooley
Colonna Sonora: Randy Newman
Interpreti (doppiatori nella versione originale): Tom Hanks, Tim Allen, Annie Potts, Christina Hendricks, Keanu Reeves, Tony Hale
Durata: 100 minuti