Chi si aspetta qualcosa di estremamente clamoroso o meglio, un salto qualitativamente superiore a Felina ormai datato quasi sei anni fa, beh, ha già preso un grosso abbaglio. D’altronde, la domanda ce la siamo fatta tutti: che senso ha, adesso, a molti anni dalla fine di Breaking Bad, regalarci 120 minuti per raccontare cosa succede al povero Jesse Pinkman?
Vince Gilligan, creatore della serie, la risposta non ce l’ha e non ha mai intenzionalmente detto che questo El Camino avrebbe dato risposte a domande mai poste, ma nella stessa natura un po’ bislacca e non proprio chiara, El Camino è un film di una struttura tecnica e narrativa ben solida.
La comunicazione attorno a questo prodotto è stata al contempo funzionale e fuorviante, con diverse persone che riversavano nel web il dubbio di riuscire a capire qualcosa del film senza aver visto la serie madre e la risposta, senza troppe sorprese, è stata chiara: no, El Camino presenta un legame assoluto con Breaking Bad, per quanto non si ponga mai l’obiettivo di aggiungere altra carne al fuoco, tanto meno di cambiare le carte in tavola. Semplicemente, il film si limita a riportarci a casa, accoglierci con un fragrante odore di caffè che viene dalla cucina e una coperta calda che ci aspetta vicino al divano.
Chi ha visto e vissuto Breaking Bad troverà uno zerbino davanti la porta con una frase chiara: there’s no place like home.
El camino ci riporta nella calda e accogliente casa denominata Breaking Bad
Il prosieguo dell’avventura di Jesse, che si trasforma in una violenta vendetta verso i suoi carcerieri, o almeno chi è rimasto in vita, ha il sapore di un film di frontiera, con lo stesso Gilligan – alla regia come alla sceneggiatura – che attinge a piene mani ai nuovi racconti della frontiera di Taylor Sheridan.
Jesse Pinkman si trasforma nell’ultimo pistolero di un paese a cui ormai ha dato tutto e dal quale deve subito scappare.
C’è qualche flashback utile a mostrare e giustificare il nuovo ramo narrativo, fedele allo stile che ci ha abituati Breaking Bad, raccontandoci questa piccola parentesi. Vero è che, in termini di economia della trama, il valore drammaturgico è pari allo zero; d’altra parte, El Camino non si presenta mai come un progetto con intenzioni espansive – per quello c’è Better Call Saul – e anzi si è dimostrato un incredibile banco di prova per testare le prove registiche di Gilligan, che confeziona un film tecnicamente impressionante, che muove le inquadrature con la stessa sapienza con cui riusciva a indicare il valore assoluto della regia a chiunque si mettesse dietro la camera da presa, episodio dopo episodio di Breaking Bad, stagione dopo stagione.
La crociata del pistolero Pinkman finirà, senza troppe sorprese, chiudendo sapientemente piccole parentesi già aperte durante la seconda stagione, concepite per non rendere tutto troppo forzato. Di gran gusto anche il ritorno di molti volti noti, introdotti grazie a furbeschi flashback che si posizionano nel film in particolari momenti in cui, senza lesinare riferimenti precisissimi, l’emotività o un dilemma diventeranno lo specchio di una situazione passata.
El Camino risulta più un grande omaggio che non un vero e proprio film. Con lo stesso creatore alla regia, torna la consapevolezza di quanto le lodi attorno a Breaking Bad non siano mai state vane, e di come sia sempre bello tornare agli stessi personaggi e atmosfere, anche solo per due ore, anche senza raccontare nulla di eclatante.
VOTO 7
Genere: drammatico, thriller
Publisher: Netflix
Regia: Vince Gilligan
Colonna Sonora: Dave Porter
Interpreti: Aaron Paul, Jesse Plemons, Charles Baker, Robert Foster, Matt Jones
Durata: 122 minuti