These long lonely evenings, here I am on the phone, wondering when she will call.
She said she would write me, ‘cause she knows I’m alone, but I hear nothing at all.
(Elvis Presley – Sylvia)
Un giovanissimo Elvis Presley è fuori casa a leggere assortito i fumetti di Shazam. In qualche modo quel giovane ragazzo crede davvero che un bambino possa ottenere dei poteri ultraterreni e trasformarsi in un eroe. Prende un cartone, ritaglia una sagoma a forma di saetta e con dello spago, si lega il simbolo al collo per farlo pendere sul petto. Lui e la madre vivono in un quartiere di neri, mal visti dalla società dei bianchi, ma sotto quella pelle scura scorre un sangue che suona a ritmo di jazz e blues. Elvis curioso si avvicina a una di queste messe cantate a ritmo di musica, comincia a muoversi, entra in sintonia con il ritmo, ne rimane rapito, estasiato, ipnotizzato. Un suo amico allunga una mano per trascinarlo fuori dalla folla per portarlo fuori e tornare a giocare, ma il reverendo lo ferma, nessuno deve toccare il giovane Elvis, giacché “è stato toccato da Dio”.
Elvis di Baz Luhrmann è un film pazzesco, che si ferma a pochi centimetri dallo status di capolavoro.
Il regista mancava dalle scene da molto tempo, quasi dieci danni, da quell’ultimo Il Grande Gatsby che in molti non hanno digerito. A ben dire. Luhrmann è uno di quei pochi registi che riesce ancora a ragionare ed esprimersi per immagini, cosa che al giorno d’oggi incontra un tipo di spettatore che si ferma spesso alle apparenze, senza soffermarsi sulla profondità della messa in scena. L’Elvis di Baz Luhrmann dunque non è solo un biopic, bensì un’acuta osservazione sulla vendita e mercificazione del sesso, sesso che prende forma negli occhi truccati, nel ciuffo che taglia il viso e nelle giacche colorate di Elvis.
elvis è un film a dir poco pazzesco e affascinante, qualcosa di vicino allo status di capolavoro
Un adolescente sale su un palco di un teatro cittadino, ha una chitarra con cinta molto corta e stretta, questo perché il giovane cantante non riesce a stare fermo, dunque deve ballare e dalla vita in giù vuole spazio, libertà di muoversi ed esprimersi. Le anche si muovono assieme ai polpastrelli che pizzicano le corde tese degli strumenti musicali, il pubblico rimane basito, affascinato, mentre il pubblico femminile, accompagnato da fedeli partner in divisa, uomini e giovani rispettabili, retti, perfetti in quegli abiti, comincia a sfregarsi di nascosto le mani, mordersi il labbro, sentirsi irrigidire i piedi e un calore sempre più crescente lì, in mezzo alle gambe.
Le labbra splendenti di lucidalabbra si aprono leggermente, mentre gli occhi sbarrati e le pupille dilatate mostrano gli effetti di un orgasmo che fa tremare le gambe e lo stomaco delle giovani. Prima un gemito di piacere a cui sussegue un urlo tra la folla. Uno, poi un altro e un altro ancora. Il Generale Tom Parker (un truccatissimo Tom Hanks sempre perfetto) assiste a quella scena pietrificato. Donne impazzite che si tolgono le mutandine per lanciarle sul palco. Lui che di mestiere è organizzatore di spettacoli circensi, trova nel giovane un’attrazione perfetta.
Luhrmann non ha la pretesa di creare il biopic perfetto, anzi, ci mostra la sua versione di Elvis, di quello che probabilmente lo ha sempre affascinato come le stesse motivazioni che Tom Parker, storico agente e curatore dell’immagine di Elvis, ha dichiarato negli ultimi anni di vita: lui in Elvis ha visto il valore economico, la facoltà di confezionare e vendere un desiderio, un piacere sessuale ad un pubblico pagante, specialmente quello femminile, ma Elvis è stato sempre di più. Egli è stato una macchina di idee e passioni, un uomo debole come tanti altri che ha cercato la costante compagnia, un uomo che viveva per il palco, per le canzoni, per la musica, un vero anticonformista e provocatore per il buonsenso di quel periodo che nascondeva un talento sconfinato.
per fortuna abbiamo ancora registi come baz luhrmann che ragionano e costruiscono ancora scene da fruire esclusivamente al cinema, creando prodotti che sono veri e propri eventi da guardare e ascoltare
Elvis è morto per colpa dei suoi stessi fan, perché questo capita alle persone nate e destinate a vivere sopra di un palcoscenico. Sotto i riflettori si gonfiano, vivono, respirano trasformandosi in un gigantesco polmone che si ciba delle urla, degli applausi e della presenza, mentre nei camerini e fuori da questi contesti, Elvis torna quel bambino povero che sogna la magia, sgonfiandosi come un sacco di patate appena svuotato. Vuoto, inerme, sconsolato, comincia a trovare conforto psicologico imbottendosi di pillole.
Due ore e cinquanta minuti. Luhrmann confeziona un film che sembra più un blockbuster incentrando tutto lo spettacolo sulla musica, su stacchi di montaggio ritmati e perfetti, con arrangiamenti inediti, più pop, senza mai tradire la natura musicale dell’artista e tutto questo è sorretto da un cast di attori a dir poco spettacolari.
Al netto del sempre ottimo Tom Hanks, perfetto anche nel trucco pesante ma facilmente riconoscibile, è proprio Austin Butler a strappare la scena che sembra esprimere perfettamente l’unico consiglio che il regista sembra avergli chiesto: metterci l’anima e il corpo. L’attore, dal canto suo, restituisce una performance incredibile.
Recita, canta, balla, suda, ride, piange e si lascia andare al trucco sotto gli occhi. Austin Butler letteralmente inveisce contro il microfono, ci sputa e piange su quello strumento di estensione vocale, l’unica vera finestra di connessione tra lui e il suo pubblico. Attraverso le canzoni, i testi malinconici o felicemente confusi, Elvis passa dall’essere un ragazzo pieno di sogni, a viverli in prima persona, inizialmente inesperto e manipolato dai fini economici di Tom Parker, per poi accorgersi che al netto della fascinazione mondiale nei suoi confronti, lui vive per il palco, il suo ossigeno è lì, assieme a tutto quello che ci gira attorno, dalla musica alla radio fino al successo al cinema, tante e diverse parabole dove c’era chi pensava ai soldi e chi cercava di vivere, di respirare, di essere felici.
Un continuo sali e scendi per Elvis, che più volte ha ottenuto il successo così come la disgrazia, pubblica e privata, tornando sempre al successo, sempre con la musica.
Il film è un matrimonio di stile come di estetica, ma è anche travolto da una carica viscerale che si plasma assieme alla passione per la musica, ma non temete, è un linguaggio di comprensione universale anche per chi non ha mai ascoltato un singolo brano di Elvis.
Lontano dunque dalla semplice agiografia, il lavoro di Luhrmann è più complesso di quanto possa sembrare, riempiendo lo schermo di effetti brillanti, luci, colori e immagini patinate, un po’ come era lo stesso Elvis che nei suoi ultimi concerti vestiva di bianco, contornato di brillantini e con una mantellina, perché su quel palco Elvis si trasformava in Shazam, accedeva al suo pieno potenziale, anche a pochi giorni prima della morte, capace di tirare fuori un’esibizione del genere.
Guardatelo come suona, come suda, come soffre nel cantare quel brano. Di tutto ciò, di queste emozioni, di questa gioia e dolore, ritroverete tutto a livelli esponenziali nel film di Baz Luhrman. E ripeto, a pochissimi centimetri dal capolavoro.
VOTO 9
Genere: biografico, musicale, drammatico
Publisher: Warner Bros
Regia: Baz Luhrmann
Colonna Sonora: Elliott Wheeler
Interpreti: Austin Butler, Tom Hanks, Kodi Smith-McPhee, David Wenham, Dacre Montgomery
Durata: 159 minuti