Nel mese di luglio del 1995 mi trovavo in un tranquillo ritiro montano, ufficialmente per ragioni di studio; in realtà, per testare la potenza dell’ultimo PC. A quell’epoca ero giovane, spensierato e perennemente “a caccia” e la radio – quasi a voler punteggiare con alcune pietre miliari l’iter dell’adolescenza – passava brani che, oggi, mi paiono assolutamente tamarri: nello specifico, Scatman di Scatman John e La donna il sogno & il grande incubo degli 883 (tra le altre cose, mi ricordo anche di Paola e Chiara, ma questo è un altro discorso). Insieme al mio migliore amico, trascorrevo le serate in compagnia di Warlords II, Heretic e Caesar II, esperiti su un “modernissimo” 386. Una meritata ricompensa, dopo il pomeriggio passato a falciare l’immane prato!
Una passione, quella per i videogiochi, che abbiamo diviso e condiviso per quattro lunghi anni; periodo che ci ha visto, nell’ottica di risparmiare soldi, giocare in tandem a titoli meravigliosi: Descent, Zork Nemesis, Atlantis: The Lost Tales, Black Dahlia e Zork: Grand Inquisitor (laddove si può notare una preponderante preferenza per il genere avventura grafica). Nel 1999, poi, è uscito The Longest Journey, l’epica in 13 capitoli di Ragnar Tørnquist. Particolarmente soddisfatto dell’acquisto mi sono recato a casa del mio amico; abbiamo parlato di questo e di quello e poi, magicamente, ricordo di aver estratto la prestigiosa scatola dallo zaino usurato. Lui l’ha scrutata con attenzione per poi dirmi, quasi imbarazzato, che i videogiochi non gli interessavano più – così, a freddo! – e che pure aveva giocato troppo.
non si può creare una memoria storica individuale del videoludo
non sento il bisogno di remake o remastered, né anelo un “nuovo” Diablo
i videogiochi hanno origini ben salde nel passato, e non conoscere queste radici significa rimanere intrappolati in un perenne déjà-vu
Personalmente, non sento il bisogno di remake o remastered (fatte le debite eccezioni), né anelo un “nuovo” Diablo. Credo che aver giocato due DOOM (nello specifico, le prime due installazioni) possa bastarmi per una vita intera, né tantomeno ricerco l’ennesimo gioco in cui occorre accompagnare per mano un tremebondo bambino fra orrori e sofferenze: Clementine mi ha già dato tutto, a livello di emozioni (e poi, caro il mio A Plague Tale: Innocence, ho già visto orde di ratti consumare cadaveri nel summenzionato Dishonored!)(suvvia, come sei cattivo, il gioco di Asobo ha parecchie qualità su diversi fronti, senza contare la bontà del rifacimento di DOOM rispetto al discorso poco sopra, ndII-V). Infine ritengo che, nella carriera videoludica di ciascuno di noi, UN Assassin’s Creed sia più che sufficiente. Quanto sopra per dimostrarvi che i videogiochi hanno origini ben salde nel passato, e non conoscere o essere dimentichi di queste radici significa rimanere privi di riferimenti e intrappolati in un perenne quantunque inconsapevole déjà-vu. Si potrebbe chiedere una maggiore originalità, da parte delle software house, ma nel mio caso è più semplice ammettere che ho giocato troppo.