Once upon a Thief

«Cantiamo delle danze dei lupi, che odorano la paura e uccidono il codardo. Cantiamo delle danze degli uomini, che fiutano l’oro e uccidono il proprio fratello» – antico detto pagano.thiefQuando facciamo la conoscenza di Garrett costui è un ragazzetto che patisce la fame nei dedali de la Città, un “organismo” steampunk che alterna opulente magioni nobiliari sormontante da severi coronamenti di merli a serre gargantuesche, viottoli rischiarati da tremolanti torce a vere e proprie strade illuminate da lampioni elettrici e punteggiate da generatori di corrente a loro volta costellati da quadranti, valvole e boccole lunghe quanto colli di giraffe. Nella urbe di cui sopra, Garrett si barcamena consegnando messaggi e alleggerendo le tasche dei più fortunati, finché non poserà la mano sul borsello di uno dei fantomatici custodi, un gruppo di persone preposte a sorvegliare l’equilibrio precario minacciato da due fazioni antitetiche, pagani e hammeriti (in breve, adoratori nella natura incontaminata e selvaggia, i primi, veneratori del metallo e delle costruzioni tecnologiche, gli altri). È la svolta, un nuovo inizio per la vita del Nostro, che verrà arruolato almeno in un primo momento da questi boriosi guardiani, e la partenza di una delle saghe più memorabili della storia dei videogiochi – dal punto di vista delle intuizioni, delle soluzioni visive, e del gameplay stealth.

SOLITARIO NELLA NOTTE VA

Ideata da Looking Glass Studios, già autrice di Ultima Underworld: The Stygian Abyss e System Shock 1 e 2, l’epopea di Garrett nasce in sordina, da una software house già in pesanti difficoltà economiche, con un personale ridotto e un turbinio di idee che faticano a condensare in un substrato fertile (come si può leggere in questo esaustivo post mortem).

la storia di Thief è nella media di quanto offerto dal mercato

Come risultato, Thief: The Dark Project (1998) è un gioco non privo di difetti; lo si può constare giocandolo oggi, grazie all’aiuto di ottime patch che forniscono l’indispensabile supporto per gli schermi widescreen. Il combattimento – che andrebbe evitato – è legnosissimo, la trama viene appena abbozzata, tra un incarico e il successivo, nondimeno sono ottime le cinematiche e le massime che accompagnano l’introduzione delle missioni, mentre la terza parte di gioco si rivela deludente e sottotono con un riciclo di ambienti e una completa sparizione di quello che – sino a pochi livelli prima – era stato il leitmotiv del titolo, ovvero la depredazione degli averi disseminati per le mappe. Per non parlare delle rane esplosive che popolano le fasi conclusive. Eppure, ci troviamo davanti ad un piccolo gioiello: addestrato dai custodi, Garrett abbandona ben presto l’ordine di cui non condivide le “visioni” e abbraccia una carriera da Robin Hood al contrario, lesto a svuotare le tasche dei ricchi per ridistribuire a se stesso. Il Nostro non è particolarmente abile con la spada (dato che i nemici mulinano le loro armi ad una velocità decisamente superiore) e abbisogna di un considerevole quantitativo di tempo per tendere la corda dell’arco (dimenticate Legolas che del suo arco faceva una Tommy Gun).ThiefL’abilità principale di Garrett rimane dunque quella di celarsi nelle ombre, di muoversi non scorto, oltre la percezione visiva di armigeri e congegni di rilevamento meccanici. A completare il suo arsenale troviamo le iconiche bombe-lampo, per accecare temporaneamente i nemici, il fido manganello, per una soluzione non letale degli scontri (sempre da preferirsi) e una selezione di frecce che spaziano da quelle puramente offensive alla freccia muscosa, in grado di attutire i rumori prodotti dai passi sulle superfici metalliche. Incidentalmente, poiché il Nostro è il prescelto dalle scritture dovrà invariabilmente salvare il mondo (leggasi, la Città) in ciascuno dei capitoli della saga.

A The Dark Project fa seguito Thief II: The Metal Age (2000), un gioco che fa tesoro delle sviste del predecessore focalizzandosi sul gameplay stealth e che con il primo titolo compone un dittico imprescindibile. Parliamo di veri e propri old game a cui occorre dedicare tempo, pazienza e amore; titoli che concedono larghi spazi di manovra al giocatore, ad un gameplay di natura emergente, ma che inscenano, talvolta, budelli arricciati e mappe vaste che lasciano campo aperto… alla frustrazione.

Thief

The Dark Project e The Metal Age sono veri e propri old game a cui occorre dedicare tempo, pazienza e tanto amore

L’eredità di Garrett viene raccolta in un primo momento da Ion Storm con Thief: Deadly Shadows (2004) criticato, anche giustamente, per mappe assolutamente claustrofobiche con frequenti caricamenti anche all’interno delle missioni principali, ma soprattutto per via dei suoi “livelli” cittadini, corridoi al cui confronto “Vicolo Stretto” pare una piazza d’armi. L’atmosfera è intatta, però, e incredibili sono le cinematiche disegnate “a mano”, nel solco della tradizione, con una serie di livelli che culminano nell’orfanotrofio di Shalebridge, un vero e proprio tripudio di suggestioni horror nonché culla d’inquietudine, con un sapiente uso delle ombre e dei colori, come nel caso della fornace del crematorio di un arancio brillante da far male agli occhi. Infine, nel 2014 la saga di Garrett rinasce grazie a Eidos-Montréal con Thief, un reboot che il nostro Mario ha premiato con un doveroso 8 su TGM 307, ma che altrove è stato pesantemente criticato. Critiche che spaziano dall’ingeneroso all’ingiustificato, transitando per l’insostenibile.

IL MANGANELLO SI ALZERÀ, E LA GUARDIA UN SONNELLINO SI FARÀ

Ora, se avete letto qualche mio articolo sapete che non sono estraneo alla “nobile” arte della critica, tuttavia parliamo di analisi che mi piace credere costruttive. Quando invece si desidera demolire un gioco che non è piaciuto, in primo luogo, siamo portati ad asserire che la trama è banale e/o derivativa, considerazione che si può estendere alla stragrande maggioranza dei titoli. Certo, dipende da dove si desidera porre l’asticella, e allora è possibile anche accontentarsi, ma a voler esser pignoli di Alan Wake e Gabriel Knight non ve ne sono certo a bizzeffe. ThiefLa storia di Thief, credetemi, è nella media di quanto offerto dal mercato. Senza scendere nel dettaglio, parliamo di una trama di natura personale legata alla ragazzina che compare alla fine di Deadly Shadows e a un’energia che permea la Città (no, non si tratta della Forza) e concentrata in una pietra detta Primeva, che logicamente dovremo recuperare.

le critiche a Thief (2014) spaziano dall’ingeneroso all’ingiustificato, transitando per l’insostenibile

Il gioco viene anche bollato come “estremamente ripetitivo”, un’osservazione che reca le stigmate della verità in quanto passiamo la maggior parte del tempo in-game a involare posate di argento massiccio, teiere di oro zecchino e chi più ne ha più ne metta. In una prima fase, questo può risultare estremamente appagante, grazie anche alla brillante animazione delle mani del Ladro che danzano – letteralmente – sulle cornici dei quadri in cerca di interruttori segreti per rivelare casseforti nascoste. Nella gioielleria posta a inizio gioco, poi, si crea il proverbiale effetto “volpe nel pollaio” con una montagna di averi da sgraffignare, attività che presto può giungere alla noia… insomma, come eliminare il duecentesimo drowner in uno qualsiasi dei capitoli dedicati al Witcher! Viene altresì criticata l’intelligenza artificiale poiché tende a dimenticare la presenza del giocatore 20 secondi dopo averlo individuato, una volta che Garrett si è amalgamato nuovamente con le ombre… esattamente come accade nelle prime installazioni. Particolarmente invisa, poi, è la presenza di un indicatore di missione, una soluzione talmente fastidiosa che ha indotto molti detrattori a porre immediatamente le mani sulla tastiera per stroncarne l’impiego senza prendersi la briga di frugare nelle opzioni di gioco per scoprire che è disattivabile a piacere, per un’esperienza più simile all’originale e che ci consente di notare come i livelli non siano poi così lineari. È sufficiente citare la casa dell’architetto a cui è possibile accedere tramite una botola collocata nella serra, scalando le impalcature presenti sul lato est della facciata, oppure attraversando il portone principale.Thief

l’IA tende a dimenticare la presenza del giocatore poco dopo averlo individuato

Il reboot del 2014 rinuncia alle tre fazioni canoniche, una delle onte più gravi a detta degli appassionati, ma per quanto riguarda pagani, hammeriti e custodi va osservato come – forse – si fosse già detto tutto nei capitoli precedenti, giacché in ogni titolo siamo posti di fronte a un ramo deviato delle suddette fazioni. Altrettanto criticate le sequenze in QTE, in particolare quella che inscena una rocambolesca fuga sui tetti: un tripudio di linearità e trial & error. Eppure, anche una sessione così poco ispirata trova il suo equivalente nel lineare e banalissimo ultimo livello del primo titolo, parlo di quel “Into the Maw of Chaos” che ci obbliga a scivolare lungo pendii ghiacciati evitando cristalli che come lame spuntano dal terreno minacciando di affettarci. Un ricordo che forse gli appassionati hanno rimosso dalla memoria attiva, anche perché francamente orrendo.

Thief va invece lodato per una grafica che restituisce una fantastica atmosfera clockpunk, per un approccio vario ai livelli, ancora possibile nonostante alcune limitazioni, per una verticalità non disprezzabile offerta dai quartieri della città e per l’assoluta mancanza di missioni dilatate da inutili fetch quest (come nel caso di Shalebridge o di “Ritorno alla Cattedrale”); soprattutto, Thief introduce, per la prima volta, alcune (poche) missioni secondarie di pregevolissima fattura. I difetti? Un antagonista che perseguita il Nostro e che si rivela di stampo puramente macchiettistico e alcune scelte discutibili in merito all’impiego di taluni tasti (la barra spaziatrice serve sia per saltare, solo in presenza di opportuni dislivelli, che per effettuare uno scatto nelle ombre, paragonabile al teletrasporto di Dishonored). E infine, forse, il titolo paga la sua natura stessa di reboot, dacché sono molti i rimandi ai predecessori, con un livello – quello del sanatorio di Moira – che ricalca le suggestioni del già citato Shalebridge. Nondimeno, parliamo di un livello incredibile.

Thief introduce alcune missioni secondarie di pregevolissima fattura

A dispetto di old gamer irriducibili e nostalgici incalliti, a conclusione di questo articolo, dichiaro che Thief (2014) è un ottimo gioco, il reboot migliore che si potesse ottenere conciliando quelle che sono le esigenze del moderno videogioco e lo spirito originale della saga. Ora Lui è morto, e giace assieme alle nobili spoglie di eroi del videoludo dimenticati nel limbo dei diritti, quali Gabriel Knight, o caduti per via delle scelte poco avvedute di alcuni sviluppatori, vedasi il comandante Shepard. Nel caso di Garrett, si è trattato del mancato apprezzamento dei giocatori. Quello che resta da fare a noi adoratori del brand è afferrare il fido arco, come nel caso del già citato Robin Hood, e scagliare un’umida freccia ad acqua per spegnere l’ultimo fuoco acceso e nasconderci là, nell’oscurità. Ritorna nell’ombra, Garrett.

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