Mi infilo nuovamente nel solco degli sparatutto, in particolare dei First Person Shooter (ormai pronunciarlo per esteso sa quasi di vecchio), non per celebrare le doti di nuovi rampolli come SUPERHOT ma per fare il punto sullo stato del genere, a due mesi dall’uscita del nuovo DOOM (13 maggio). Qualche giorno fa il video comparativo che vedete qui sotto ha messo in subbuglio il sangue di mezza redazione, e paradossalmente mi sono venuti in mente gli sparatutto anche mentre leggevo la recensione del keiser di Trackmania Turbo, in riferimento all’ottima incursione di Nadeo fra gli FPS con vocazione da e-sport.
Due suggestioni diverse, queste per DOOM e Shootmania Storm, che tuttavia hanno entrambe a che fare con la visione classica degli shooter a cavallo dei millenni, la stessa che oggi fa persino fatica a sopravvivere. Concetti come open world, co-op, sandbox e contaminazione di ruolo sono diventati lo strumento per procrastinare l’appeal di grossi marchi come Far Cry o Ghost Recon, e nemmeno gli shooter militari sembrano poter uscire dal recinto delle serie milionarie, come Call of Duty e, in misura minore, Battlefield. Bestioni come Singularity, Bulletstorm e BioShock Infinite hanno dimostrato che una buona fattura non è più una garanzia di successo, e nessuno (o quasi) si è più azzardato a ripercorrere con disinvoltura simili modelli. Adesso, però, la fame di un’intera generazione comincia a farsi sentire.
L’ANTICA LEZIONE DI DOOM
Per la verità, gli ultimi titoli citati non fanno nemmeno parte del discorso. DOOM torna a un tipo di sparatutto “pre Half-Life” in cui contano quasi unicamente il level design, la conoscenza di armi/nemici e i riflessi del giocatore, tanto in singolo quanto – e a maggior ragione – nello spirito sportivo del multiplayer. Il pulp d’orrore fantascientifico di DOOM è gustosissimo ma non ha niente a che fare con l’approccio cinematografico che Valve ha donato alla sua opera prima nel 1998, e anzi va dritto al punto senza troppi fronzoli e diramazioni. Così è stato e così sarà, in una forma che il video di cui sopra ha riassunto alla perfezione e che, appunto, sembra quasi la ricostruzione del capostipite, con la tecnologia del 2016.
DOOM torna a un tipo di sparatutto “pre Half-Life”
SOGNI DI INSTAGIB
Anche sul fronte del multiplayer l’offerta sembra volutamente “demodè”, con una selezione di modalità storiche, poche innovazioni e – per una volta – senza la solita caterva di equipaggiamento da sbloccare. Sappiamo bene come la tendenza degli shooter competitivi e co-op sembri ormai rivolta alle contaminazioni MOBA come in Overwatch o in Battleborn, oppure MMORPG come in Destiny e in The Division (in questo caso in salsa TPS con coperture automatiche, dunque con differenze non da poco). Allo stesso tempo, le sortite di gioiellini squisitamente FPS come Shootmania rappresentano un evento rarissimo e nemmeno troppo noto, per non parlare della scarsa attenzione mediatica sull’alpha di Unreal Tournament. Proprio per questo, oltre che per le cose dette sopra, DOOM è ufficialmente tornato a essere una mosca bianca. Di quelle mosche bianche che mi riporteranno alla fine del millennio, quando mi ammazzavo di Quake III o (soprattutto, nel mio caso) Unreal Tournament, e che sarà onorata in modo particolare da me, Claudio, Ivan e dalle rispettive scimmie appollaiate sulle spalle. Scimmie con qualche annetto sul groppone, esattamente come i loro padroni.
Il suo essere demodè lo rende inversamente innovativo rispetto a tutti i giochi di questo periodo.
Un gioco di bordello e casino e sangue e budella e urla e armi giganti e mostri mancava in effetti. Speriamo che la qualità sia alta!