Fra i tanti titoli presentati e approfonditi all’E3, mi ha particolarmente colpito il trailer di Horizon: Zero Dawn. Non tanto per le ambientazioni, un incrocio tra le lande nordiche di Skyrim e le terre primigenie di Far Cry Primal, né per i biomeccanoidi che ne popolano il distopico universo, con più che generosi accenni a quanto già visto in Mass Effect, quanto per l’impatto, visivo e narrato, della protagonista: Aloy sembra un avatar fantastico, un character i cui caleidoscopici panni non avrò problemi a vestire, nonostante la differenza di genere.
Aloy, nome che fonicamente richiama il lemma inglese “alloy” (lega), mostra determinazione, convinzione e tenacia, fusi in un’amalgama perfetta che profuma di quintessenza. Siamo dalle parti di The Longest Journey, con April Ryan, o nei gelidi dintorni di Syberia, con l’inesauribile Kate Walker, o ancora nella periferia del più recente Memoria, pregevole avventura bipartita di Daedalic, impreziosita dalla presenza di Sadja al-Kebîr, protagonista che decisamente ruba la scena all’impacciato Geron in quanto sinonimo di ferrea forza di volontà.
Aloy è – o almeno appare da quanto finora visto – una “femmina alfa”
I capelli impossibilmente lunghi, figli di un’extension improbabile, e gli squisiti abiti “indiani” esplicano una pregevole cura per la persona, ma l’apparente freddezza e la maestria nel maneggiare le armi possono nascondere una cifra umana? La speranza è questa, perché solo una grande umanità può salvare il mondo dall’impalcatura meramente logica delle macchine: un messaggio che spero il gioco sarà in grado di convogliare sulla falsariga di quanto già mostrato nel più recente Battlestar Galactica.
Dhiyo yo nah prachodayat – Guide my soul on the path of light (guida la mia anima sul sentiero della luce).