In piena febbre da No Man’s Sky, la cui recensione ufficiale comparirà presto sulle nostre pagine, perdo fin troppo tempo a gustarmi, armato di pacco formato famiglia di popcorn, le varie discussioni su Facebook tra chi difende a spada tratta il titolo Hello Games e chi invece lo tratta come la peggior ciofeca dell’ultimo millennio. Non sono affatto qui a difendere Murray e la sua opera, visto che sto ancora in piena crisi mistica nel tentativo di valutare uno dei titoli possibilmente più “difficili” dell’anno, ma vorrei invece soffermarmi su una frase che leggo fin troppo spesso sui social network: “No Man’s Sky non è divertente”. Improvvisamente sembra quasi che il suo più grande problema sia la lentezza e la mancanza di attività e di azione bellica. Ciò che mi ha colpito, però, è che il concetto “un videogioco DEVE essere divertente” viene dato per scontato, come se il medium in questione non avesse altri scopi che far passare qualche ora in preda a grasse risate e deliri adrenalinici.
Eppure, da che ho memoria, c’è sempre stato qualche genio fuori dal coro che ha tentato di sfruttare appieno tutte le potenzialità di un PC (o di una console) trasmettendo agli utenti sensazioni diverse dal semplice divertimento, a partire forse da quel Little Computer People che vide la luce nel lontanissimo 1985, che mostrava al giocatore l’omino che viveva all’interno del proprio computer e che, a conti fatti, non offriva un vero e proprio gameplay. Da bambino, quando ancora non sapevo scrivere il mio nome ma avevo imparato a premere in sequenza i tasti P, L, A, e Y sulla tastiera del Commodore 64 per poter giocare con le decine di cassettine arancioni che mio padre portava a casa settimanalmente, ricordo che rimasi di stucco: ero abituato ad afferrare il joystick e a capire in pochi attimi come gustarmi un titolo, eppure non riuscivo a comprendere come giocare con Little Computer People. Complice anche la mia totale inabilità di leggere o scrivere, bastò una frase pronunciata da papà per accendere una vera e propria inspiegabile magia: “Quello è l’omino che vive nella TV, non puoi disturbarlo ma puoi vedere come passa il tempo!”.
Era divertente rimanere a guardare un mucchio di pixel che stava svaccato in poltrona a osservare la televisione o che si preparava un panino da mangiare? No, direi proprio di no, però era terribilmente affascinante. Lo stesso vale per decine e decine di prodotti che sono apparsi sui nostri schermi nel corso degli anni, più o meno riusciti ma indubbiamente originali e in grado di lasciare il giocatore a bocca aperta, probabilmente per la confusione causata dal trovarsi di fronte a qualcosa di “nuovo”.
Il concetto “un videogioco DEVE essere divertente” viene dato per scontato, come se il medium in questione non avesse altri scopi
Ebbene, No Man’s Sky è probabilmente l’ultimo della serie che ci ha ricordato come un videogioco non debba per forza di cose farci sbellicare dalle risate o tirar fuori l’anima competitiva nascosta dentro di noi. Non vi nego che, giorno dopo giorno, quel senso di “magia e meraviglia” provato nelle primissime ore è ormai svanito completamente, ma ben pochi altri giochi sono stati capaci di farmi restare a bocca aperta innanzi a una struttura rocciosa o a una bestia quasi deforme. Certo, alcune opere riescono a farci godere sia di un’esplorazione entusiasmante, sia di obiettivi, combattimenti e sfide, come accade in quel capolavoro indiscusso che è The Witcher 3; eppure, le sensazioni provate cavalcando attraverso Temeria sono diversissime da quelle percepite entrando per la prima volta nell’orbita di un pianeta che nessun’anima viva ha ancora visto.
Forse un giorno riusciremo a scrollarci di dosso questo orribile concetto che i videogiochi sono e saranno sempre un mero mezzo d’intrattenimento, come se una serata al cinema fosse per forza di cose sinonimo di Fast & Furious e Avengers. Per ora l’unica cosa che possiamo fare è dare una “tirata di orecchie” a chi sostiene il contrario.
Non nascondo che quando trovo le parole "arte" e "videogiochi" nella stessa frase mi viene l'orticaria: un videogioco per avere successo non deve fare arte, e se ci prova significa che o non è un videogioco, o che la software house (...o il publisher, più probabile) non è riuscita ad inventarsi niente di meglio che la storiella dell'arte per pompare il proprio prodotto.
La radicalizzazione delle opinioni sta diventando logorante per chi vorrebbe soltanto farsi un'opinione spassionata su certi argomenti.
Non nascondo che quando trovo le parole "arte" e "videogiochi" nella stessa frase mi viene l'orticaria: un videogioco per avere successo non deve fare arte, e se ci prova significa che o non è un videogioco, o che la software house (...o il publisher, più probabile) non è riuscita ad inventarsi niente di meglio che la storiella dell'arte per pompare il proprio prodotto.
Non vedo perché un videogame non possa essere arte. Una cosa non esclude assolutamente l'altra.