L’Italia nel mondo dei videogiochi è ancora uno stereotipo

Uncharted-4-Italia

Abbiamo imparato a conoscere Tokyo come le nostre tasche grazie alle migliaia di giochi giapponesi ambientati nella capitale del Sol Levante. Ve ne parlavo un editoriale fa: sto preparando un viaggio verso la capitale giapponese e mi rendo conto di conoscere molte delle strade e delle attrazioni in città esclusivamente grazie alla mia passione per i videogiochi. Allo stesso modo, tutti abbiamo battuto migliaia di volte le strade di New York: nel pieno della vita, rigogliosa, distrutta, post-atomica o solamente intasata dal traffico, la Grande Mela è un altro dei posti che possiamo dire di aver visitato – almeno virtualmente – un mucchio di volte, così come Parigi o Londra. E Roma? E l’Italia in generale?

Esistono ovviamente dei titoli ambientati nel Bel Paese, e persino nella capitale italiana, ma per quanto ci si sforzi di immaginarla diversamente, nella sua declinazione virtuale, l’Italia è sempre “’o Paese d’ ‘o sole”. Ricordo l’ultima esperienza nell’immaginaria Sapienza di Hitman: un quadretto delizioso di palazzetti e villette a schiera, gente buffa ma di buon cuore, buon cibo, buon vino, una vista mozzafiato di una scogliera a picco sul mare blu, il tutto condito con una meravigliosa e luminosa giornata. E che dire della missione di Uncharted 4 sulla Costiera Amalfitana? Il canone estetico è sempre quello: il sole, la gente cordiale, eleganza, profumo di cibo nell’aria. Quando si tratta di Roma mi vengono in mente solo gli esempi super storicizzati di Assassin’s Creed o di Shadow of Rome. C’è stato il recente Wheels of Aurelia che racconta il contesto socio politico della Roma degli Anni ‘70, ma per scelte stilistiche non ha la forza visiva di imporsi come riferimento virtuale della capitale.

hitman episodio 2 sapienza recensione

c’è bisogno di costruire attorno ai nostri centri urbani quella stessa “leggenda” che anima New York e Tokyo

Eppure – e chi è stato a Roma lo sa – la mia città avrebbe tantissimo da dare al mondo dei videogiochi. Sa essere oscura, sa essere pericolosa forse ancora più di New York (e sicuramente più di Tokyo), nasconde segreti, atroci verità, una microcriminalità talmente brulicante che Dio solo sa quanto avremmo bisogno di un “supereroe”. Sarebbe una splendida protagonista per un crime o per un gioco d’azione crudo. Al cinema sembrano essersene accorti: pellicole come Lo Chiamavano Jeeg Robot, Suburra (che proprio in questi giorni arriva su Netflix con una serie televisiva), Romanzo Criminale o il meraviglioso Non essere cattivo, ci hanno mostrato che si può fare un thriller criminale che non ha niente da invidiare al cinema americano. E perfino loro, gli americani, hanno di nuovo aperto gli occhi per scegliere Roma come città d’azione: certo a volte è stereotipata al punto che fa male, come in Spectre, ma altre volte invece riesce a essere affascinante e viva come in John Wick 2.

Ciò che voglio dire è che sarebbe giusto che anche le nostre città fossero protagoniste dei videogiochi, perché c’è bisogno di costruire attorno ai nostri centri urbani quella stessa “leggenda” che anima New York e Tokyo, grazie alle migliaia di storie che abbiamo vissuto lì. Titoli crudi e realistici, che abbiano la forza di raccontare quella stessa poetica oscura che regalava alla New York di Max Payne, coperta dal bianco della neve soffice e macchiata di sangue, quell’orrore lucido ma romantico di cui noi italiani, almeno nei videogiochi, non abbiamo mai goduto.

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