Ieri sera mi sono imbattuto in una clip tratta dalla puntata del 19 novembre di Che tempo che fa, condotta da Fabio Fazio e trasmessa in prima serata su Rai1. L’ospite è Giovanni Malagò, presidente del CONI. In maniera un po’ leggera, pensando forse di essere simpatico, Fazio porta la discussione sul recente pronunciamento del CIO a proposito degli esport come discipline a cui si riconoscono i medesimi valori sportivi delle altre.
Nel piccolo mondo di Fabio Fazio, i videogiochi esistono, vivono e muoiono con Super Mario
Ora, guardatevi la clip, che dura poco più di un minuto, e immagino converrete con me che ci sono almeno un paio di problemi da mettere in evidenza.
Il primo è che Fazio liquida l’intero universo videoludico come “Super Mario”. Lo fa per ben due volte. Nel suo mondo, evidentemente limitato, i videogiochi esistono, vivono e muoiono con l’idraulico di Nintendo.Che in generale regala sempre grandi soddisfazioni, e anche di recente non è stato da meno, dalle avventure di
Super Mario Odyssey all’incontro con i
pazzi conigli di Ubisoft. Però ecco, la visione è quantomeno un po’ limitata. E fin qui, si potrebbe liquidare la questione con un banale “
la TV generalista, il solito approccio banale e ignorante” (nel senso di non conoscere la materia di cui si parla), ed è sicuramente vero, ma non per questo meno avvilente.
Nel suo interpretare il cosiddetto “uomo della strada”, ci possono tranquillamente stare battute come “doping per Super Mario?“, che se non altro potrebbero aprire a una discussione sull’argomento, ma di certo meriterebbe di essere trattato con un po’ più di onestà intellettuale e competenza.
Il problema vero, però, è quello che dice Malagò, la persona che rappresenta il CONI, ossia il Comitato Olimpico Nazionale Italiano: trovo corretto che sollevi il problema del doping e la necessità di normare i tornei di esport, dove ci sono in palio dei denari, come del resto sono normate tutte le altre competizioni. Più opinabile tutto il resto: l’idea che l’intera questione (ossia che gli esport possano, in un futuro non lontanissimo, essere riconosciuti come discipline olimpiche) non venga trattata con neppure il più italiano dei “cauti pessimismi”, ma venga derubricata a semplice “barzelletta”. Un insulto a tutti quelli che videogiocano, in maniera professionale o anche solo per puro divertimento. Se il mondo dei videogiochi, e in particolare quello degli esport, è una barzelletta, caro Malagò, sappia che lei è l’unico ad averla capita. Sicuramente è l’unico che ride.
Se il mondo dei videogiochi è una barzelletta, Malagò è l’unico che ride
Un insulto che si aggiunge a quanto detto all’inizio del suo intervento: “
nel mondo, questi videogiochi li giocano milioni di persone, soprattutto ragazzi… è tutto sbagliato“. Ora, sarebbe interessante capire
che cosa sarebbe tutto sbagliato? Avere una passione diversa da quella del signor Malagò? Divertirsi con qualcosa che, per sua stessa ammissione, non ha mai toccato in vita sua e non ha idea di come “funzioni”? Fatico a pensare – ma sono ironico, evidentemente – che sia questo il caso, altrimenti si tratterebbe di discriminazione bella e buona. Probabilmente, dal suo punto di vista, potrebbe essere “tutto sbagliato” anche dedicarsi alla filatelia, o alla costruzione di aquiloni. Non so, magari sbaglio io, ma dal presidente del Comitato Olimpico uno potrebbe attendersi una visione del mondo un po’ meno tranchant. Anche perché, ed è questione di non poco conto,
c’è tutto un contesto economico legato al mondo degli esport, che con quel suo “è una barzelletta” Malagò liquida nella maniera peggiore. Entità come il CONI non possono far finta che non esistano, e infatti così non è: tre anni ASI, Associazioni sportive sociali italiane, ente di promozione sportiva riconosciuta dal CONI, ha formalmente dato mandato a GEC (Giochi Elettronici Competitivi) per la regolamentazione degli esport in Italia; Malagò non può ignorare questo dettaglio (che sarebbe male), né mandare tutto a monte in questo modo (che sarebbe pure peggio).
Da queste parti ci piace essere un po’ più aperti di vedute, ascoltare opinioni diverse, affrontarle e mettersi in discussione, se necessario. L’abbiamo imparato anche videogiocando, dove Super Mario e company riescono – più spesso che non – a regalarci occasioni in cui compiere scelte di cui siamo chiamati a rispondere in prima persona, che hanno conseguenze e ripercussioni sul mondo, ancorché virtuale. Online la faccenda è un po’ più spinosa, perché chiunque si sia mai cimentato nel multiplayer, a qualunque livello, sa che sul fronte dell’educazione (e spesso anche di fair play) durante le partite c’è parecchia strada da fare, ma insomma, ci si prova. Perché saremo anche tutti sbagliati, ma non siamo dei cafoni.