Non riesco esattamente a immaginare quale potrebbe essere, oggi, la forma dell’orrore lovecraftiano, ma Death Stranding sembra andarci molto vicino. Per decenni l’ascendenza da H.P. Lovecraft è stata evocata su opere d’orrore e fantascienza fra le più disparate, e quasi subito l’attenzione si è spostata sull’accezione più ampia dell’aggettivo correlato, a definire la lontananza di un mondo o di una creatura dall’esperienza comune degli esseri umani.
È lovecraftiano lo xenomorfo di Alien, naturalmente, concepito persino nella biologia dallo scultore (lovecraftiano, e che riposi in pace) Hans Ruedi Giger; se vogliamo, però, a quasi quarant’anni di distanza è possibile definire in questo modo anche un’opera diametralmente opposta come The Arrival, avulsa da qualsiasi declinazione di orrore, giacché prova a immaginare una forma di vita aliena apparentemente incomprensibile, nonché spaventosa al primo approccio. Per non parlare di Cloverfield o di Quella Casa nel Bosco, alla ricerca di vere angosce, seguendo le cui linee si potrebbe andare avanti a citare titoli all’infinito.
Cthulhu non avrà mai pietà di noi, perché letteralmente non ne conosce il significato
Per arrivare all’ultimo trailer di Death Stranding, e non perdermi ulteriormente nel gigantesco lascito lovecraftiano, almeno nella pura comunicazione Hideo Kojima è già riuscito a mettere insieme alcuni ingredienti tanto cari al “solitario di Providence”: qualunque sia la minaccia, e così il destino degli esploratori che accompagnano il personaggio di Norman Reedus, la prospettiva umana appare limitata come quella di un insetto, schiacciato, assorbito o divorato per ragioni (e con dinamiche) impossibili da comprendere.
Nonostante, poi, Death Stranding appaia volutamente informe in tanti particolari, rendendosi lovecraftiano anche in questo, la combinazione di indizi e suggestioni visive inizia a dare qualche risultato. Non mi spaventa, ad esempio, il pensiero che in qualche modo stiamo assistendo a piccoli scampoli di un’Apocalisse, con un varco dimensionale provocato dalla dissennata curiosità di militari e scienziati (come in The Myst o nel già citato La Casa nel Bosco, tra le opere che mi stanno più a cuore), perché ogni cosa appare ovvia finché non arriva qualcuno a farla ritornare grande, proprio come certi generi e approcci alla fantascienza. Le esatte spiegazioni di quanto abbiamo visto nei trailer risiedono ancora saldamente nella testa di Kojima, e solo lui conosce l’origine delle gigantesche figure antropomorfe e tentacolate, ammantate da una nebbia quasi provvidenziale, oppure delle ombre che possono essere affrontate solo dando una pietosa morte a chi ne viene rapito, o ancora del bambino che, in qualche modo, sembra rappresentare l’unica chance di sopravvivenza del gruppo di operatori in tuta di contenimento, e forse per l’umanità intera.
la prospettiva umana appare limitata come quella di un insetto, schiacciato, assorbito o divorato
D’altra parte, con un solido ancoraggio dei piedi per terra, una delle poche cose di cui possiamo essere sicuri è che Hideo Kojima, nel suo viaggio verso la sostanziale indipendenza, sembra aver portato con sé validi artisti che possono dar forma alle sue idee, oltre al fatto di voler filmare un mondo digitale interattivo con la stessa intensità di un film d’autore. Chissà se anche lui si sveglia di notte a scrivere sogni e incubi, come si premurava di fare Lovecraft: a giudicare dalle ultime visioni, è facile che sia così.