Elogio dell’accessibilità dei videogiochi

No Man's Sky subreddit chiuso

La colpa è dell’amico Aurelio che, tra il lusco e il brusco, butta su Facebook la notizia di un gruppo di giocatori di Elite: Dangerous che stanno per partire in soccorso di uno sconosciuto che ha finito il carburante e si è perso nello spazio profondo (qui la news).

Nel mio cuore da space trucker si riaccende (e lo riscrivo: riaccende) la passione per il titolo Frontier: nel tempo di un battito di ciglia la barra del download è già in movimento. Dubito che sia necessario spiegare che tipo di gioco sia Elite: Dangerous, ma l’accento sul tempo richiesto per attraccare e viaggiare tra gli innumerevoli sistemi solari lo voglio mettere. Che uno intraprenda la carriera di cacciatore di taglie, di assassino, di camionista, di minatore o di esploratore, resta la necessità di macinare migliaia di anni luce per raggiungere questa o quella stazione, sempre che tutto vada bene e non si venga multati o, peggio, disintegrati. Stiamo parlando di decine di minuti per ogni sessione, laddove sono necessari anche rifornimenti di carburante e interventi di manutenzione. Insomma, quando ci si immerge nel gameplay del titolo di David Braben non lo si fa dicendosi “tra mezz’ora stacco”, dato che con ogni probabilità in quel lasso di tempo non si è ancora incominciato a fare sul serio.

IL TEMPO È UNA COPERTA SEMPRE TROPPO CORTA

Nella decina di giorni in cui mi ci sono rimesso (e lo riscrivo: rimesso) però, c’è stato di mezzo il Natale, con sconti pazzi su ogni store, un Horizon Zero Dawn sotto l’albero e… ecco: pranzi e cene da digestione lenta che hanno portato a momenti da dedicare al videogiocare più brevi del voluto (specie dopo i 35 anni…). Fatto sta che, senza volerlo, mi sono messo a leggere degli aggiornamenti di No Man’s Sky, che pare abbiano cambiato radicalmente la traballante struttura del day one, rendendo la sua offerta ben più appetibile di quanto non fosse all’inizio (qui la recensione di Marco Tassani).

elite dangerous accessibilità

quando ci si immerge nel gameplay di Elite non lo si fa dicendosi “tra mezz’ora stacco”

Devo ancora provarlo, quindi il punto non è discutere del lavoro di Hello Games, quanto di chiacchierare insieme del vecchio adagio less is more. Se anche Mario Baccigalupi, in un momento di intimità redazionale, ha scritto che il gameplay di Elite: Dangerous è stato sviluppato con “intenti più nobili”, volendo quindi definirlo come un prodotto più completo e coerente, è pur sempre vero che si tratta di un Godzilla non alla portata di tutti. In quest’ottica, chi avesse voglia di giocare all’astronauta ma non avesse l’energia di cimentarsi in un’impresa fatta di mille indicatori e scritte piccolissime, beh… potrebbe benissimo scendere a compromessi con la creatura di Sean Murray, che se anche non ha tutte le carte in regola, è capace di regalare a meno di 30 denari un delizioso monte ore di esplorazioni, colori cangianti e combattimenti tra le stelle.

Un ragionamento analogo lo si può fare per gli open world à la Skyrim, gli strategici à la Civilization o gli RPG à la Baldur’s Gate, dato che esistono alternative più morigerate nei contenuti ma, ciò nondimeno, sfiziose. Potremmo tornare a qualche editoriale fa, quando mi interrogavo sulla differenza tra hardcore gamer e casual, ma nella realtà dei fatti siamo tutti adulti e ben sappiamo quanto possa essere frustrante, oggi come oggi, avere un backlog infinito e non riuscire a smaltirlo, quindi giù i forconi ed evitiamo di etichettare come niubbi quelli che non hanno tempo a sufficienza per affrontare sfide troppo impegnative.

HORIZON ZERO DAWN, PENSACI TU

Risalendo a monte, allora, mi trovo oggi a dar ragione ad Aurelio, che nel commentare la notizia citata ammetteva giustamente di essere affascinato da quel gameplay così sopraffino, ma di non avere il coraggio di lasciarsi tentare, proprio per le implicazioni di cui sopra. Questo mi rende un videogiocatore naif? Può essere, ma in fin dei conti la cosa importante è che io mi diverta, no? Prendiamo ad esempio l’ultima fatica di Guerrilla Games (qui la recensione di Davide Mancini), che presenta una struttura open world piuttosto contenuta, con indicatori di missione molto evidenti, menù semplici, crescita del personaggio non cervellotica e una lore superficiale ma non per questo poco accattivante. È davvero così svilente, per me, preferirlo a Skyrim per via della sua incredibile accessibilità? Sono essenziali chilometri di righe di testo e quintali di parafernalia, o se mi educo ad abbassare l’asticella delle pretese posso godere maggiormente di un’offerta ludica tanto inferiore nei contenuti quanto più immediata? È lo stesso discorso che si fece nel 2012 per XCOM: Enemy Unknown, quando da più parti piovevano critiche per il ridimensionamento dell’aspetto strategico quasi fosse un affronto nei confronti dei veterani di guerra. Ma davvero abbiamo ancora la forza di impazzire come facevamo negli anni ‘90 e la voglia di sbatterci la testa, leggendo pagine e pagine di guide, magari in modalità permadeath? Io faccio coming out: no. Voi?

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