Il piacere di guardarsi negli occhi

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Tra le cose che mi piacciono del mio lavoro, e ahimè sono tante, c’è la possibilità di confrontarsi in grande libertà con gli sviluppatori di videogiochi, artefici delle opere d’ingegno che più amo al mondo. La mia esperienza professionale è stata insufficiente per parlare di quel che accade nel mondo del cinema, in termini di rapporto empatico con attori e registi, ma una cosa mi è sembrata chiara: in tutte le occasioni che ho potuto, quando lavoravo in un’emittente radiofonica locale (ad esempio nel contesto del festival Europacinema di Viareggio), mi è sempre apparso difficile o quantomeno “esclusivo” chiacchierare amabilmente con qualche noto addetto ai lavori, al di fuori che quelli che erano gli stretti termini dell’intervista. Al contrario, nell’industria dei videogiochi puoi trovarti all’improvviso catapultato davanti al mito di tutta una vita, e parlarci come se foste entrambi depositari di qualcosa che il resto del mondo non comprende. E per certi versi è ancora così, anche se le percentuali sono drasticamente cambiate.

Questo accade a tutti i livelli, per ragioni che farebbero godere l’80% degli appassionati ma anche per questioni personali e quasi di nicchia, che in un attimo possono trasformare, almeno ai tuoi occhi, un giovanissimo sviluppatore indipendente in una leggenda che cammina.sviluppatori

I rapporti appaino più empatici e confidenziali, rispetto a quel che accade con il mondo del cinema

Nella prima categoria mi piace ricordare gli incontri, diversissimi, con la geniale arte ludica di Hidetaka Miyazaki, riconoscibile anche nel timido sguardo fiammeggiante (sembra una contraddizione, ma l’impressione è stata quella), oppure con l’eterna curiosità che brillava sulla faccia di David Braben: la lunghissima passione che mi lega a quest’ultimo mi ha portato sulla strada, più che di una domanda, di una sorta di confessione a cuore aperto, in particolare su come Elite abbia cambiato la mia percezione dei videogiochi, affiancando all’incanto dell’arcade una visione più complessa e quasi fantascientifica del medium. A quel punto mi ha sorriso e siamo passati in una fase molto più complice dell’intervista, quasi avessimo capito di amare lo stesso genere di donna.

Allo stesso modo, senza infilarmi in altri esempi di conclamata grandezza, sono stato rapito dallo scambio di opinioni spontaneo e amabile che ho avuto con creativi molto meno celebri, e che ai miei occhi apparivano comunque importantissimi. Solo dall’ultima gamescom mi viene in mente il confronto con gli sviluppatori di This War of Mine, in particolare con uno dei writer, in merito a come il gioco precedente e il nuovo Frostpunk riescano a comunicare contenuti culturalmente profondi senza svilire la pratica del gameplay, invero complessa nelle regole e nei generi di ascendenza. Sempre tra gli ultimi incontri a Colonia, dove di sviluppatori ne passano a centinaia, ho percepito nel lead designer di RUINER una sorta di improvviso e galvanizzato risveglio, peraltro nell’ultimo giorno di fiera, solo perché mi sono messo a giocare e parlare del suo titolo con fare da cyber-psicopatico, evidentemente l’unica cosa che poteva sbloccare la sua mente come in un puzzle dal vivo.sviluppatori

A volte, se ha colpito il tuo cuore, anche un piccolissimo sviluppatore può apparirti come una leggenda che cammina

È in questi frangenti che si ha il maggiore godimento, quando gli sviluppatori riconoscono una fluida (e in piccola parte arricchente, nei miei sogni migliori) condivisione delle idee. Il game design diventa una materia che appartiene a entrambi i lati della barricata, a noi videogiocatori e a chi i giochi li crea mediando con budget e publisher, dopo esser stato a sua volta un comune fruitore del medium. Tutto ciò può anche sedimentare piccoli strati di frustrazione, magari perché ti sei svegliato spesso col sogno (sudato, ahimè) di metter personalmente mano alla concezione di un videogioco, o anche perché sai, in cuor tuo, che lo sbilanciamento dei giudizi nella stampa videoludica si è venuto a creare anche per questo (e per altre ragioni più strutturali, naturalmente), come caso unico nelle opere espressive passibili di critica, per la passione che accomuna ma che può anche sedurre, distorcere o, peggio, far lavorare gratis, convinti irresponsabilmente di seguire un valore più grande. Ma questa, capirete, è tutta un’altra storia.

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Elogio dell’accessibilità dei videogiochi

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