Sono qui tra voi per condividere qualcosa che, mi rendo conto, potrebbe anche non interessarvi affatto: a me gli esport piacciono un sacco! Vi rendo partecipi di ciò perché sabato mi è stato gentilmente proposto di scrivere una sorta di “risposta” a questo editoriale in cui Roberto Turrini ha confessato di preferire lo spettacolo offerto dagli sport fisici a quello dei “cugini elettronici”. Io, naturalmente, ho accettato. Non solo perché mi piace l’idea di diventare una specie di ambasciatrice dell’esport (o avvocato del diavolo, a seconda della prospettiva) ma anche perché, ecco… in effetti, perché?
Seguo e racconto le competizioni videoludiche ogni giorno. Ho scritto addirittura un manifesto ironico rivolto proprio a voi “giocatori non spettatori” e, grazie a Claudio Todeschini, ho la possibilità di parlarne persino sulle pagine fisiche della rivista. So che potrei utilizzare questo spazio per raccontarvi nel dettaglio la botta di adrenalina provata allo scorso mondiale di League of Legends, laddove gli SKT hanno rimontato un match praticamente perso contro gli EDG con una wombo-combo mozzafiato midlane che ha permesso loro di rientrare in partita, quando tutto ormai sembrava dire il contrario. Potrei narrarvi della tensione provata nel momento in cui ho guardato i RunAway farsi soffiare da sotto il naso il titolo di campioni Overwatch APEX per la seconda volta in un anno, morendo uno a uno davanti al portone del castello di Eichenwalde, con il cronometro fermo sull’overtime. Potrei anche descrivervi quanto sia affascinante per me osservare il volto concentrato di JDCR e le sue mani muoversi sull’arcade stick, velocissime quanto aggraziate, mentre guidano con sicurezza Heihachi o Dragunov grazie a un istinto costruito in anni di duro lavoro e a riflessi quasi disumani.
Sport ed esport rappresentano un modo alternativo di vivere un’esperienza competitiva
Entrambi rappresentano un modo alternativo di vivere un’esperienza competitiva: si può trattare il tutto come un semplice hobby da prendere alla leggera, o si può anche intraprendere la difficile carriera agonistica, oppure – ancora – sdraiarsi semplicemente sul divano in pigiama e godersi un torneo messo in piedi da una sfilza di professionisti del settore. Ma soprattutto, entrambi consentono di scavalcare i limiti umani. Sport ed esport incarnano discipline che permettono di spingere la mente o il corpo a un nuovo livello e su nuovi binari, di confezionare la strategia perfetta e innovativa che ti fa vincere la partita da sfavorito, di proporre un gesto tecnico senza sbavature nonostante la tensione alle stelle. Sport ed esport sono tutto questo (e molto altro, ma qua c’è materiale per almeno altri sei editoriali) perché, citando proprio Turrini, la sfida è analogamente impegnativa e la preparazione richiede lo stesso numero di ore, a prescindere dal muscolo teso all’inverosimile o dal sudore versato dall’atleta/giocatore. E quando i presupposti sono gli stessi, per me, lo sono anche le emozioni da spettatore. Se, tuttavia, qualcuno di voi mi confessasse che gli esport non gli regalano proprio nulla, nemmeno un brividino, beh… non ci troverei nulla di strano, perché i gusti sono gusti. Permettetemi, però, di pensare in cuor mio che sarebbe proprio un gran peccato!