Ho sempre apprezzato la follia e la sfacciataggine di David Cage, nell’essere estremamente convinto e risoluto a seguire la sua strada, a prescindere da tutto. D’altronde, è la storia di Quantic Dream – il cui nome dice già tutto, perché nasce dall’idea di essere un paradosso, a metà strada tra scienza e magia – a dirci che con la costanza e l’ambizione i risultati arrivano. Ho sempre immaginato la storia del contatto tra Cage ed Eidos per Omikron – The Nomad Soul come la scena di uno dei suoi giochi: drammatica, epica, con mille possibilità di andare stortissima. Pensate a un giovane Cage, a Londra, in metropolitana, con uno zaino pesantissimo contenente un laptop anni ’90 con la demo del gioco e un documento di design di oltre 200 pagine. Sudato e distrutto, ma riesce comunque a strappare un contratto, e tutto sommato il resto è storia.
Cage ha ottime intuizioni e una grandissima sensibilità per le scene di vita comune, quotidiana, ma è meno a suo agio con la fantascienza
Certo, una storia travagliata, che ha incontrato un successo meritato e critiche altrettanto sacrosante, figlie di un atteggiamento che se da un lato gli ha donato la forza necessaria a portare avanti la sua visione, dall’altro non ha di sicuro attirato le simpatie di tutti. Come le sue opere, divisive come poche, soprattutto tra la critica.
Io sono tra quelli a cui i titoli Quantic Dream sono sempre piaciuti, ma sarebbe da ciechi non ammettere le loro criticità, che di solito coincidono con lo sconfinamento dell’ego di Cage all’interno dell’opera. A mio avviso il designer francese (di origini italiane) è un brillante caratterista, ha ottime intuizioni e una grandissima sensibilità per le scene di vita comune, quotidiana, mentre è chiaramente meno a suo agio con i temi di fantascienza (che però ama molto) e soprattutto, è sempre stato molto autarchico e geloso delle sue creature, che forse avrebbero giovato molto di interventi esterni più decisi. Per quanto restino giochi che ho adorato, è indubbio che
Fahrenheit, complici i problemi di budget, si perda tra i deliri delle sette e degli alieni,
Heavy Rain abbia un problema grave con la gestione dei pensieri dei personaggi e
Beyond: Due Anime fosse fin troppo ambizioso (e vabbè, anche lì, un paio di virate sci-fi…), tanto da essere percepito più lineare di quanto non fosse in realtà. Eppure, prese sia come esperienze complessive che andando a selezionare alcune scene in particolare (il diner di
Fahrenheit, il rapporto padre-figlio in
Heavy Rain, la cena romantica e il parto di
Beyond),
ho raramente trovato videogiochi più coinvolgenti dal punto di vista emotivo. È il pacchetto completo di Quantic Dream, che nel bene e nel male li ha condotti fino a
Detroit.

Ho rigiocato la scena della demo avidamente, un po’ per sperimentare, un po’ per puro piacere e curiosità, e veder comparire le opzioni nascoste sul diagramma dà soddisfazione, quasi assuefazione.
Ho provato il nuovo titolo durante le fiere lo scorso anno, ho parlato con David Cage, ho giocato
la demo disponibile sullo store e
mi sono fatto raccontare da Ivan l’evento di anteprima, e sono abbastanza convinto che ci troviamo di fronte a un importante passo in avanti per
Quantic Dream, al di là degli ovvi progressi in termini di resa estetica e di sforzo produttivo. Pad alla mano, ciò che salta all’occhio è
la presenza di molti più indicatori, obiettivi, e soprattutto il tanto discusso flow-chart, il diagramma delle scelte che permette di analizzare il percorso. Insieme a un indicatore che comparirà più avanti nel gioco che riguarderà il nostro grado di devianza, si tratta di due strumenti prettamente ludici, che da un certo punto di vista sembrerebbero andare quasi in controtendenza con l’estrema organicità dei precedenti lavori di Cage. A Los Angeles lo scorso anno glielo chiesi, e lui mi rispose con il suo solito tono tagliente:
“Lo hanno notato in molti, in realtà sono strumenti che sono sempre esistiti nei nostri giochi, ma che erano nascosti”. Ha senso, e devo ammettere che inizialmente non mi era neanche piaciuta completamente questa “giocosità” manifesta, eppure ammetto che funziona; col senno di poi, con il flow-chart
Beyond: Due Anime sarebbe stato apprezzato molto di più da chi, semplicemente, non si era accorto della presenza di più deviazioni.
L’idea di avere un riscontro quasi immediato delle azioni, o sapere di star perdendo alcune strade alternative rende innegabilmente più saldo il rapporto con il gioco e più consapevoli i giocatori delle loro possibilità. Come vi raccontavo qualche settimana fa con
il paradosso della libertà e
The Council, per quanto possa sembrare assurdo, rendere visibili le regole dell’interazione, nella loro finitezza e chiarezza, può amplificare il senso di coinvolgimento (e divertimento) senza intaccare il piano emotivo o la sospensione di incredulità. Ho rigiocato avidamente la scena della demo di
Detroit: Become Human, un po’ per sperimentare, un po’ per puro piacere e curiosità, e veder comparire le opzioni nascoste sul diagramma dà soddisfazione, quasi assuefazione.

L’altro elemento che potrebbe segnare la liberazione di Cage dalla prigionia del suo tendere spesso verso il cinema e dalle sue smanie di autore assoluto si chiama Adam Williams, ed è il lead writer del gioco. È la prima volta che la storia di un titolo Quantic Dream è co-firmata, e d’altronde sin dalla pre-produzione Cage si è avvalso di diversi consulenti narrativi. Williams ha curato il progetto fino in fondo, e anche il suo curriculum è interessante, dato che si tratta di un professionista che ha lavorato principalmente per la TV. Appaiono chiari fin da subito il cambio di paradigma e del ritmo di gioco, che evidentemente guarda alle serie contemporanee, così come lo sguardo di una persona esterna, e potrebbero regalare a Detroit: Become Human il meglio dei vari mondi a cui si ispira. Confrontandomi con amici e altre persone che hanno provato la demo, l’antipasto ha funzionato e l’effetto sorpresa in stile Fahrenheit/Heavy Rain è evidente, e il consenso mi sembra largo. Adesso bisogna solo placare l’hype.