La Stoffa dell'Eroe

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Per mesi il fatto che nessuno dei negozi della mia città vendesse più Amiibo mi aveva salvata dall’acquisto del piccolo modellino di Solaire of Astora, tutto glorioso sul suo pezzetto di selciato intento a pregare il sole. Ero riuscita persino a resistere alla tentazione di comprarlo da internet con la scusa più insensata del mondo, ovvero “tanto chissà quanto ci mette ad arrivare qua in Sardegna”, come se l’urgenza di averlo sul ripiano della libreria entro il giorno seguente fosse un fattore determinante per la decisione di spendere o meno quella ventina di euro (o un fattore determinante per qualsiasi cosa). Il mio castello di carte è crollato poco tempo fa, quando al centro commerciale l’ho visto sbucare tra un portafogli a forma di PS1 e dei sottobicchieri a tema videoludico. Io l’ho guardato, lui ha guardato me e la questione si è risolta in un attimo: “Sunbro, hai trovato una casa!”.videogiochi maschi femmine

La vita reale non è una pagina di giornale, pronta a essere riempita con saggi editoriali

La fila alla cassa era un po’ lunga, ma la decisione di guardarmi un po’ attorno si è rivelata ben presto funesta. Il bambino alle mie spalle, intento a rovistare tra i titoli usati Nintendo, ha afferrato una confezione e si è diretto fuori dal locale da due signori, uno dei quali si è rivelato essere suo padre. «E questo da dove lo hai preso?» ha chiesto subito al pargolo, dubbioso, «Da là», ha risposto lui, indicando lo scaffale. Il moto di contentezza e senso di giustizia scaturiti alla frase «Eh no, riportalo dentro…» sono durati una frazione di secondo, giusto il tanto che è bastato al babbo per aggiungere, a una giusta lezione sul taccheggio, la seguente frase: «… che poi è pure da femmina». Ho osservato perplessa il giovanotto ritornare mestamente vicino a me e rimettere al suo posto la confezione. Era quella di Kirby e la stoffa dell’eroe. Il turbinio di pensieri nella mia testa è andato dall’incredulità che qualcuno nel 2019 potesse ancora pensare una roba simile a una vera e propria tangente su come potesse essere un ipotetico “gioco da femmina” apprezzabile dalla me di vent’anni fa, abbandonato appena dopo il primo ricordo d’infanzia, ovvero la consueta cattura domenicale di cavallette da liberare di soppiatto davanti ai parenti più impressionabili. Non esattamente il migliore degli stereotipi. Ci ho messo qualche minuto a realizzare che sia il bambino sventurato che il genitore dell’anno se n’erano ormai andati, ma è stato solo dopo aver pagato l’Amiibo pensando “poveretto, chissà cosa si perderà il piccoletto di questo passo” che un dubbio si è insinuato con prepotenza nella mia mente: avrei dovuto fare qualcosa?

JUDGEBRO

La vita reale non è una pagina di giornale, pronta a essere riempita con saggi editoriali. Per quanto mi sia capitato, un paio di volte, di fugare dubbi di parenti in difficoltà di fronte alla zona controller, approcciarmi a una famiglia con l’intento di spiegare l’inesattezza del catalogare Kirby o qualsiasi altro gioco come “da maschi” o “da femmine” mi è sembrata veramente fuori luogo. Eppure, da quel giorno, è proprio il valoroso Solaire a farmi venire i dubbi, lì dalla sua postazione tra il paffuto Yoshi di lana e il calamaro di Splatoon. Sarebbe stato il caso di provare, per una volta, a fare davvero la differenza e dire a qualcuno così poco informato che i videogiochi sono classificati per età e non per sesso? Che mi lamento a fare dei genitori sprovveduti se sono la prima a chiudere gli occhi davanti a scene come questa? Alla fine della fiera, l’opzione peggiore sarebbe stata un meno cortese “si faccia gli affari suoi” da parte sua e un “dovrò mettere Sunbro sul ripiano dove arriva il sole o più all’ombra?” da parte mia. A questo punto giro la domanda anche a voi: cosa avrei dovuto fare?

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