Per mesi il fatto che nessuno dei negozi della mia città vendesse più Amiibo mi aveva salvata dall’acquisto del piccolo modellino di Solaire of Astora, tutto glorioso sul suo pezzetto di selciato intento a pregare il sole. Ero riuscita persino a resistere alla tentazione di comprarlo da internet con la scusa più insensata del mondo, ovvero “tanto chissà quanto ci mette ad arrivare qua in Sardegna”, come se l’urgenza di averlo sul ripiano della libreria entro il giorno seguente fosse un fattore determinante per la decisione di spendere o meno quella ventina di euro (o un fattore determinante per qualsiasi cosa). Il mio castello di carte è crollato poco tempo fa, quando al centro commerciale l’ho visto sbucare tra un portafogli a forma di PS1 e dei sottobicchieri a tema videoludico. Io l’ho guardato, lui ha guardato me e la questione si è risolta in un attimo: “Sunbro, hai trovato una casa!”.
La vita reale non è una pagina di giornale, pronta a essere riempita con saggi editoriali
JUDGEBRO
La vita reale non è una pagina di giornale, pronta a essere riempita con saggi editoriali. Per quanto mi sia capitato, un paio di volte, di fugare dubbi di parenti in difficoltà di fronte alla zona controller, approcciarmi a una famiglia con l’intento di spiegare l’inesattezza del catalogare Kirby o qualsiasi altro gioco come “da maschi” o “da femmine” mi è sembrata veramente fuori luogo. Eppure, da quel giorno, è proprio il valoroso Solaire a farmi venire i dubbi, lì dalla sua postazione tra il paffuto Yoshi di lana e il calamaro di Splatoon. Sarebbe stato il caso di provare, per una volta, a fare davvero la differenza e dire a qualcuno così poco informato che i videogiochi sono classificati per età e non per sesso? Che mi lamento a fare dei genitori sprovveduti se sono la prima a chiudere gli occhi davanti a scene come questa? Alla fine della fiera, l’opzione peggiore sarebbe stata un meno cortese “si faccia gli affari suoi” da parte sua e un “dovrò mettere Sunbro sul ripiano dove arriva il sole o più all’ombra?” da parte mia. A questo punto giro la domanda anche a voi: cosa avrei dovuto fare?