Alla recentissima notizia sulla politica DRM “always online” di Diablo 4 ho pensato: “Uhhh, shitstorm!”. Proprio Blizzard, proprio dopo quelle settimane post-lancio di Diablo 3 con tanti, troppi problemi legati alla connettività. Pensavo avessero imparato la lezione. Con questi pensieri in mente, dopo un paio d’ore sono andato sulla nostra pagina Facebook per vedere come stavate commentando la cosa e, con mia sorpresa, ho scoperto che molte persone sono rimaste piuttosto freddine, con commenti che si attestavano su qualcosa come “al giorno d’oggi non è un problema”, oppure “anche Diablo 3 era così”. Mi sarei aspettato una reazione del tutto diversa e ciò mi ha portato a riflettere su quella che è la mia posizione in merito.
Per mia fortuna, da quando ho 19 anni vivo in città con banda larga, quindi il problema pratico della connessione lenta non mi tocca. D’altra parte, è chiaro che esiste ancora una larga fetta della popolazione italiana (ma credo di un po’ tutto il mondo, a dire il vero) per cui tale aspetto rappresenta ancora un serio ostacolo a una tranquilla serata di gaming, oltre che, potenzialmente, a tante altre cose più o meno serie. Ma ammettiamo pure, per un attimo, che le infrastrutture tecnologiche siano tali da supportare una scelta simile; non sono sicuro che accettare qualcosa perché non crea problemi sia la motivazione più soddisfacente. Più volte nel passato le DRM online hanno causato forti reazioni nel pubblico, al punto che Microsoft fece un clamoroso dietro-front in merito a Xbox One ancora prima che uscisse. Perché allora gli sviluppatori battono ancora questo chiodo?
Il DRM always online di Diablo 4 ha lasciato molti indifferenti
Scavando più a fondo, ho trovato quello che a mio giudizio è il bandolo della matassa. Se siamo sempre connessi ai server delle software house, stiamo comunicando con loro e fornendo dati in merito alla nostra esperienza; ciò consente agli sviluppatori di raccogliere informazioni con cui ci possono profilare in base, per esempio, alla nostra località, le fasce orarie in cui giochiamo e quanto a lungo durano le nostre sessioni. Non sono di certo un esperto di privacy digitale, ma ognuno di noi ha ormai esperienze di pubblicità personalizzate sui propri browser o sui social. Questa quantità di informazioni, nelle giuste mani, ha un valore inestimabile: società come WhatsApp sono state comprate per fantabilioni proprio per la quantità di dati da profilare che si portavano dietro.
Viviamo in un mondo “post-Cambridge Analytica”
Nel corso degli ultimi anni ho pian piano formato l’opinione che avremmo tutti bisogno di un’educazione di base sull’argomento per essere ben coscienti di quali siano i dati che forniamo in giro e come vengano trattati. È uno sforzo erculeo, visto che si tratta di un argomento obiettivamente complesso in cui solo di recente regolamentazioni internazionali richiedono chiarezza e trasparenza alle società che manipolano i dati. Non è che io mi metta a leggere tutte le notifiche dei cookie, perché comunque non vedo alternative ad accettarli, ma quantomeno sono un costante campanello di allarme che quel sito controllerà cosa farò anche dopo esserne uscito.
Blizzard Entertainment, di preciso, cosa farà con quei dati? A quali scopi li userà? Serviranno a migliorare l’esperienza di gioco? Perfetto. Li userà invece per il proprio marketing? Mi può anche stare bene, ma innanzitutto lo voglio sapere, anche perché mi girano pure un po’ i cojones a regalare qualcosa di mio che ha tanto valore. Non è che mi possono fare uno sconto sul prossimo DLC?