ai dialoghi di molti videogiochi servirebbero tanto editing, sane sforbiciate e una robusta iniezione di realismo
È inutile citare lo Star Child di Mass Effect 3, ma debbo confessarvi che non sono un grande fan delle digressioni filosofiche di Kreia (Star Wars: Knights of the Old Republic II: The Sith Lords), né apprezzo personaggi del calibro de la Madre in Cordoglio in Pillars of Eternity (scritta dall’immenso Chris Avellone) che si rivolge al giocatore su questo registro: “Com’è possibile che gli altri non ti vedano?”. “I loro occhi mi vedono, ma le loro menti non rimembrano altro se non la membrana amniotica. Il mio volto… è come la membrana amniotica di un neonato, che nasconde il viso sottostante, e per quanto riguarda il mio corpo… io sono in grado di avvolgermi su me stessa come una madre che culla il suo bambino”. Quaranta minuti (e non esagero) di non detto, di allusioni e cripticismi che fan venir voglia di pigiare furiosamente il tasto ESC. In tutto questo rilevo solamente un autocompiacimento che mira a dimostrare che si sanno ben usare tastiera e vocaboli, ma nessuna intenzione di creare un personaggio che sia nemmeno lontanamente credibile.
dissertare con Dak’kon in merito al Circolo di Zerthimon non ha prezzo
In definitiva, credo che ai dialoghi di molti videogiochi servirebbero tanto editing, sane sforbiciate e una robusta iniezione di realismo, che può essere benissimo veicolata tramite un tempo finito per dare una risposta (come accade nei titoli TTG) o utilizzando le interruzioni di Mass Effect 2 che ci consentono di arrivare al nocciuolo dell’argomento qualora la nostra pazienza si fosse esaurita (si veda lo sproloquio sulla dominazione Krogan durante la missione di Mordin). Molti scrittori di videogiochi dovrebbero insomma applicare la filosofia di John Wayne che ad un esordiente Michael Caine consigliava: “Parla poco, parla piano e parla chiaro”, perché lo spettatore – o nel nostro caso il giocatore – deve sempre capire cosa viene detto.
Alla luce di quanto sopra, per assurdo, trovo che uno dei personaggi più carismatici che mi sia mai capitato di conoscere e interpretare rimanga l’incrollabile Artyom che non articola verbo per tre giochi interi, ma le “risposte” ai suoi silenzi giungono dai sorrisi e dallo sguardo dolce di Anna, dalla riconoscenza di una madre cui abbiamo salvato il figlioletto e dai calici levati dai commilitoni riconoscenti.
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