Ho la fama (ingrata) di essere il reazionario del gruppo. Uno di quelli che si oppongono a ogni cambiamento dello status quo. A Roma, quelli così, li si apostrofa in un modo che purtroppo non posso riproporre qui sulle pagine digitali di TGM (ma nemmeno su quelle cartacee, ndKikko). A mia discolpa dico che una figura come la mia è fondamentale all’interno di un team che debba prendere una decisione. Senza contraddittorio si rischia di partire a bomba con l’entusiasmo, dimenticando di valutare pro e contro. Tutto questo maniavantismo è funzionale al soggetto di questo articolo. Quando si è cominciato a parlare di visori di realtà virtuale, il sottoscritto ha sempre bollato l’idea come l’ennesimo buco nell’acqua di un momento storico in cui fantomatiche rivoluzioni tecnologiche sono all’ordine del giorno. Fondamentalmente perché mi rendo conto che il videogiocatore è restio al cambiamento e che non è auspicabile giocare con un ingombrante visore sulla capoccia.
Beh, poi è successo che alla scorsa Gamescom ho avuto la possibilità di provare Oculus Rift con P.O.L.L.E.N., di cui vi ha parlato qui il nostro Marione nazionale. Non lo nascondo: mi si è aperto un mondo di possibilità. È stata un’epifania, uno sconvolgimento che poi è difficile dimenticare. La prova su strada mi è piaciuta così tanto che avrei esplorato quel mondo ancora a lungo: un’esplosione mentale mi ha catapultato in un futuro pieno di applicazioni di VR. Sì, c’era la distopica possibilità di un mondo ormai allo sbando, isolato e alienato, ma alcune idee erano talmente belle che poteva valere la pena staccarsi un po’ da esso per provarle. D’altronde le migliori storie di fantascienza – soprattutto quelle che finiscono male – iniziano così, no?
Tolto il visore dalla testa non ho pensato ad altro per giorni.
Quel visore.
Quella voglia di entrare in tutti i miei giochi.
Quei settecento euro.
Sì, è un investimento notevole. Settecento euro è quasi quanto ho speso per comprare i singoli componenti del mio nuovo PC, e per il supporto alla VR ci sono dei requisiti hardware non proprio accessibili. Sono un mucchio di soldi per vedere PornHub in realtà virtuale, per quanto siano meravigliose le promesse delle signorine in homepage.
A questo punto, però, c’è il colpo di scena della storia. Se conoscete Google Cardboard vi spunterà un sorrisino; se non lo conoscete sentite qua e preparatevi a sfoderarlo. La prima volta che ho sentito parlare di Cardboard mi è sembrata una presa in giro di Google. Un pesce d’aprile. Cardboard è un pezzo di cartone con due lentacce dentro e un tastino, in alto, a mo’ di macchina fotografica. Come funziona? Ci ficcate dentro il vostro smartphone, scaricate l’applicazione apposita e… realtà virtuale! Potrà sembrarvi impossibile che si riesca a replicare l’effetto della VR con un pezzo di cartone, due lenti dalla qualità discutibile e per il modico prezzo di una quindicina di euro ma, oh, funziona. Non saprei spiegarvi esattamente il barbatrucco attraverso cui lo schermo del telefono viene trasformato dalle lenti, né il giochetto mentale jedi a cui sono sottoposti gli occhi. Sappiate solo che l’effetto è decisamente convincente. Settecento euro risparmiati!
Cardboard è un vezzo, un giocattolino, uno strumento sfizioso e divertente
Ovviamente questo pezzo non vuole assolutamente affermare che un visore Cardboard abbia la stesso effetto di uno più serio. Parliamo di un vezzo, un giocattolino, uno strumento sfizioso e divertente per passare qualche minuto con la bocca aperta e il naso all’insù. Un po’ per colpa della mancanza di vere e proprie killer app, un po’ per una visione che non è mai davvero cristallina, Cardboard è lì che riposa sullo scaffale. È stato un antipasto gustoso per la VR. Prendetelo per quello che è: una demo, la possibilità, se siete dei poveracci come me, di provare l’effetto inebriante della realtà virtuale con un cazzillo di cartone. Nonostante tutte le mie resistenze da reazionario e bastian contrario, devo ammettere che, forse, sarebbe il caso di cominciare a risparmiare per un oggettino più impegnativo…
E mi sa che "sfizio" sia la parola giusta per identificare correttamente, oggi (e pure domani, scommettiamo?) tutta 'sta faccenduola.