De Doom Rebus

Prendo spunto dall’ottimo articolo pubblicato qualche giorno fa su PC Gamer, scritto da Greg Kasavin, autore e designer presso Supergiant Games (quelli di Bastion e Transistor), per tornare a parlare di DOOM, che insomma, è sempre un piacere, e non solo da giocare.

COPRITI CHE FA FREDDO

doom gameplay

Più che altro, ne approfitto per sfatare un paio di luoghi comuni relativi al classico di id Software, che nella memora di molti vive ancora con molti preconcetti ed errori, come dimostrano alcune riflessioni di Greg. Quando dice, per esempio, parlando dell’evoluzione degli shooter negli ultimi vent’anni e citando l’introduzione delle coperture, “e se avessi dovuto sfruttare una copertura? In quel modo ci sarebbe stato molto di più che correre ed evitare [i proiettili]“. Ecco, qui mi si gonfia un po’ la vena, perché chi ha giocato TANTO al DooM classico sa perfettamente quanto sia IMPORTANTE, per non dire essenziale, ripararsi e trovare una copertura per evitare i colpi nemici, su tutti quelli dei panzoni con la mitragliatrice e dei ragni. In quei casi, correre dietro un angolo o una colonna rappresenta la differenza tra la vita e la morte.

Proprio perché non esplicitamente previste, le “coperture” di DOOM sono molto più autentiche. È il giocatore che deve volerlo fare

Ed è una copertura molto più autentica di quelle a cui siamo abituati a pensare oggi giorno, nel senso che non esistono aree dietro cui è espressamente consentito trovare riparo e si diventa invulnerabili, né un tasto associato a quell’azione. È proprio il giocatore che deve farlo, punto e basta. Il fatto che non esista una meccanica esplicita per un’azione, per quell’azione, ha portato la gente a dire che in DooM non esistono le coperture, ma non è vero.

doom gameplay

E questo vale ovviamente anche per il nuovo DOOM, in cui non c’è il tasto “copriti che fa freddo“, ma le colonne e gli altri elementi dei livelli servono esattamente a questo scopo. Richiedono la volontà esplicita del giocatore di farne uso, rappresentando un’ulteriore conferma, forse meno evidente ma non meno importante, dell’attenzione al materiale originale, e della cura riposta nel level design delle mappe.

In DOOM si spara, e si spara un sacco, ma non è vero che si passa da un combattimento all’altro senza respiro. Quello è Painkiller

Ancora, quando si legge che “il genere era sinonimo di pura azione, che si è poi evoluta in qualcosa di più metodico“, mi sembra di sentir parlare d’altro. È verissimo che si spara, e si spara un sacco, ma non è vero che l’azione è sempre frenetica e si passa da un combattimento all’altro senza respiro. Quello è Painkiller. Nel DooM originale soprattutto ci sono un sacco di momenti, davvero fondamentali, in cui hai modo di stare al riparo, relativamente tranquillo, e colpire i nemici da lontano (gli scheletri sulla colonna, gli heavy sulle mura, il ragno lontanissimo) per spianarti la strada. Nel nuovo DOOM questo vale un po’ meno perché i nemici hanno una mobilità assai maggiore, ma in molti casi mi sono trovato a fare la stessa cosa, a liberarmi in maniera “tattica” dei demoni lontani per poter avere il giusto agio – e molti meno avversari – quando poi ho dovuto per forza di cose scendere in mezzo al casino e sparare come un disperato.

Insomma, che si parli di DOOM quanto si vuole, ma lo si faccia a ragion veduta, ecco. L’unica cosa certa, comunque, alla fine di questo mini-rant, è che mi è tornata una voglia matta di tornare a giocare al DooM classico. Che quello nuovo è bellissimo, ma il primo amore, si sa…

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  1. 1.
    parole sante, provo la stessa rabbia (si fa per dire) quando giochi open arena o, peggio ancora, con livelli procedurali vengono paragonati a quake. ma si sa, la gente su internet scrive spesso senza cognizione di causa

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