Siamo a giugno e andiamo spediti verso il giro di boa del 2017. Se, calendario alla mano, mancano trenta giorni alla virata, è indubbio che per il mondo dei videogiochi il traguardo di metà corsa sia metaforicamente l’E3, con tutto ciò lo accompagna prima, durante, e dopo.
La fiera losangelina di quest’anno, come ogni volta, spariglierà un po’ le carte in tavola, perché se è vero che c’è tantissima attesa per Xbox Scorpio, una volta che inizia la girandola degli annunci è facile che da qui a fra due settimane staremo parlando anche di molte altre cose. Ma non è dell’E3 che voglio parlare oggi, visto che mi riserverò di farlo tradizionalmente la settimana prossima, alla vigilia della partenza per Los Angeles, quanto piuttosto al fatto che la prima metà dell’anno è stata pazzesca, e se solo penso ai candidati come “GOTY” di questo semestre, farei fatica a scegliere un solo gioco, fra Zelda, Horizon, NieR, Prey, e le sorprese indipendenti di RiME e What Remains of Edith Finch. Giochi importanti, perché ognuno, a modo suo, ha dimostrato quanto l’industry in realtà sia in salute e abbia un margine di crescita importante, sia in termini di ricerca di game design, sia in termini di attualizzazione degli stilemi del passato.
È innegabile che la qualità media delle produzioni dei oggi sia probabilmente la più alta mai registrata nel settore
È come se le software house e i produttori fossero davvero diventati finalmente pronti per la nuova generazione, e si siano liberati tutti di un fardello. C’è spazio per qualcosa di nuovo, e i giocatori apprezzano, è evidente. Chiaramente non mi illudo che sia un momento di “tana, libera tutti”, ma è palese come si stia viaggiando verso un nuovo standard di produzione, e che probabilmente di qui a qualche anno ci lamenteremo di nuovo di una certa piattezza: eppure, è innegabile che la qualità media delle produzioni di oggi sia probabilmente la più alta mai registrata nel settore, con buona pace di chi, in realtà, pensa che esista una standardizzazione nei gusti dei giocatori e che, mediamente, ci va bene tutto.
Al contrario, penso che quest’anno abbia dimostrato come in realtà siamo diventati tutti un po’ più esigenti e che “il solito” non basta più; d’altronde è anche per questo motivo che le software house hanno dovuto necessariamente cambiare qualcosa. Di questa prima parte del 2017, però, mi piace soprattutto il suo rapporto con il passato, romantico, più che nostalgico. Ed è una cosa, questa, che dovremmo imparare un po’ tutti: siamo legati tutti al passato, e per comprendere chi siamo oggi è necessario conoscere cosa eravamo ieri; eppure ci sono modi e modi per valorizzare il ricordo, che esulano dal glorificarlo. Imparare dal passato trovandone i riferimenti per guardare e interpretare al futuro significa mettere in discussione costantemente i nostri gusti per analizzare criticamente al presente, senza nulla togliere a ciò che è venuto prima e senza avere pregiudizi su ciò che ci circonda. Spesso, invece, ci rifugiamo nei ricordi perché ci sembrano consolatori, raccolgono le sensazioni migliori di un tempo e le esaltano, e inevitabilmente ci sembrano migliori del presente. Non mi riferisco solo a quello che diceva Astrotasso qualche sabato fa, e al fatto che molti giochi invecchino molto meno bene di quanto non ricordassimo. Parlo di noi, e del nostro modo di approcciare al medium: appropriamoci del presente, godiamocelo, e non corriamo il rischio di degustare il 2017 soltanto fra qualche anno e ricordarci quanto, in realtà, sia stata un’ottima annata.