Sono tornato appena da qualche giorno dal mio primo viaggio in terra giapponese. È stata la prima esperienza in un posto che ho sempre sentito mio, come inevitabile conseguenza di una vita passata in compagnia di icone nate lì, tra videogiochi, anime e fumetti. Una volta a Tokyo, quindi, non ho potuto fare a meno di studiare i comportamenti del popolo giapponese nei confronti dei videogiochi, e ne sono rimasto incantato. In metropolitana c’era uno schermetto sopra le porte del vagone che mandava a nastro le pubblicità di Super Mario Odyssey, e anche una sorta di pubblicità progresso che utilizzava i pupazzini di Animal Crossing intenti a spiegare chissà cosa in una lingua che vorrei tanto imparare. E poi i cartelloni, in strada, meravigliosi e colorati, pubblicizzavano le ultime uscite. Tante, tantissime postazioni nei negozi mi hanno costretto a comprare una copia del nuovo Mario anche lì, nonostante la mia fosse felicemente a Roma, e mi hanno fatto salire ancora di più l’hype per Monster Hunter World. Tanti gingilli, palazzi pieni di oggettini e action figure in vendita anche nelle catene più impensabili. Insomma, una cultura profondamente calata nell’universo dei videogiochi.
Ma ciò che ho notato con più stupore, oltre al successo pazzesco di Nintendo Switch (fuori dai negozi c’erano cartelloni giganteschi con l’immagine dell’ultima console Nintendo e la scritta “IN STOCK NOW”), e all’incredibile diffusione di PS Vita (con tantissimi giochi che non avevo mai visto prima, splendidi e davvero curati), è il rapporto dei giapponesi con i videogiochi mobile.
Prima di tutto perché è facile, anzi sicuro, beccarne almeno un paio che giocano nel tuo stesso vagone della metro, a ogni ora e in ogni condizione, anche se attorno a loro ci sono trenta persone che li schiacciano contro il vetro delle porte. Stoici, dritti come canne di bambù, se ne stanno con le cuffiette (sempre, perché è vietato disturbare gli altri) e il telefono davanti al viso, a sconfiggere mostri e a pescare dai gatcha. E non avete idea di quanti ne hanno! Avrò visto trecento persone giocare a trecento giochi diversi, dal più classico dei solitari, ai JRPG che non sfigurerebbero su una vera console portatile. Ci sono perfino le visual novel, un sacco di avventure testuali con maid procaci, compagne di scuola intraprendenti e ragazzi dai capelli improbabili. C’era da perderci la testa: tutti con un design grafico spettacolare, tutti all’apparenza immediati e facilissimi.
Una volta a Tokyo non ho potuto fare a meno di studiare i comportamenti del popolo giapponese nei confronti dei videogiochi
E quando finalmente sono riuscito a creare un account giapponese per l’Apple Store – apriti cielo – ecco un mondo meraviglioso, dove la proposta in ambito di giochi mobile è immensamente più ampia che da noi. C’è di tutto: dai bullet hell alle visual novel, passando per i simulatori di ogni genere, anche di fidanzata. Magari alcuni sono presenti anche nei nostri Store (ve lo confermo, li ho cercati e trovati) ma nascosti, non hanno spazio, sono soffocati da una marea di altra roba. Mi sono promesso di scaricarne il più possibile (previa memoria del telefono in esaurimento) e purtroppo sono rimasto scottato già qualche volta dalla totale assenza di una lingua comprensibile.
È facile capire perché il mobile sia diventata una piattaforma importante anche per Nintendo (vedi Fire Emblem o l’imminente Animal Crossing): sono titoli semplici, li hai sempre con te, puoi usarli con una mano in metropolitana (un luogo assai visitato dai giapponesi) e i publisher hanno la possibilità di guadagnarci continuamente, grazie alle microtransazioni. Ora non resta che sperare che in futuro arrivino telefoni con batterie in grado di supportare tanto svago tutto insieme.