Sono un evocatore e ne vado fiero

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Sono pochi i titoli che, nel corso degli anni, rimangono inesorabilmente installati nel mio hard disk. Il primo, ormai lo sapete, è Ultima Online, che nonostante i suoi vent’anni suonati continua a ronzare senza sosta nei miei pensieri. Il secondo, incredibilmente, è League of Legends.

Non ricordo, con tutta sincerità, come venni a conoscenza del MOBA più giocato al mondo. Mi sembra che, su un forum a caso nel lontano aprile del 2010, qualche persona consigliò un “titolo interessante” che sembrava avere tutte le carte in regola per diventare una dannata droga. E difatti così fu. Giocavo a League of Legends, ai tempi distribuito in Europa da GOA, senza capirci veramente qualcosa: prendevo un personaggio e, senza nessuna tattica o abilità, cominciavo a spingere come un forsennato verso la base nemica da distruggere, ignorando gran parte delle cose che accadevano sullo schermo. In realtà non mi interessava particolarmente comprendere appieno i campioni (addirittura più di quaranta!) e i tanti oggetti acquistabili dal proprio alter-ego: quel che facevo era sufficiente a farmi divertire. Acquistai addirittura il DVD del gioco, che garantiva per pochi spicci una bella manciata di personaggi giocabili, alcuni crediti e una skin unica. Ormai ero entrato nel tunnel della dipendenza.

Giocavo a League of Legends senza capirci veramente qualcosa

Le prime grandi gioie giunsero quando cominciai a giocare con amici e conoscenti: il gioco di squadra ha donato a League of Legends tutto un altro sapore, ed entrare in un clan con lo scopo di scalare la classifica italiana ha tirato fuori un lato agonistico che nemmeno sapevo di possedere. Il problema era che, a conti fatti, continuavo a non capirne nulla. Fu con l’avvento di Justin.tv (ai tempi nemmeno esisteva quel fenomeno mondiale chiamato Twitch) che, osservando giocatori molto più in gamba di me, sono riuscito finalmente a comprendere quelle meccaniche che hanno reso, almeno per il sottoscritto, League of Legends un titolo incredibile. Osservavo quotidianamente personaggi dal calibro di HotShotGG (lacrimuccia) con la speranza di riuscire ad emulare in qualche modo le sue abilità con Nidalee, e da lì il passo successivo è stato imminente e scontato: i tornei organizzati da ESL Italia.

Io e gli altri disperati con cui mi allenavo (ebbene sì, il termine è proprio questo) quotidianamente avevamo la voglia di dimostrare al mondo di essere davvero bravi, e per non so quale scherzo del destino ci classificammo nel girone principale del torneo italiano del 2012. Fu una strage imbarazzante, ma proprio grazie a quella serie di umiliazioni decisi che League of Legends meritava altro tempo e più dedizione. Con buona pace del mio – giù lungo e zoppicante – cammino universitario.

league of legends editorialeIn nemmeno un anno imparai a conoscere il lato peggiore dei MOBA e, più in generale, dei titoli competitivi: il fastidio. Giocare non diventa più una scusa per rilassarsi, ma un mezzo tramite cui dimostrare agli avversarsi la propria superiorità. La vittoria diventa l’unica cosa che conta, e “scalare le ranked” la missione di vita. Ogni partita persa fa peggiorare una gastrite cronica inguaribile, e si arriva a insultare pesantemente i propri compagni di squadra al minimo errore commesso. Così, per preservare la mia mente, il mio fisico e il mio futuro, decisi di darci un taglio netto.

Non c’è da stupirsi che giochi come League of Legends siano quindi entrati a gamba tesa nella vita quotidiana di milioni di persone

È dura, però, rinunciare completamente ai MOBA, così mi presi una lunga pausa sabbatica dedicando i miei pomeriggi a DotA 2. Passai due anni sul titolo Valve, per poi tornare su League of Legends per fare qualche partitella tra amici. Scoccò nuovamente l’amore, ed era appena cominciato il 2015. Fortunatamente cambiai totalmente approccio, e smettendo di cercare a ogni costo la vittoria – e imparando a godermi più a fondo il tempo trascorso sulla Landa degli Evocatori – vennero finalmente anche le prime soddisfazioni. Ora, come più di un lustro fa, sento il bisogno di giocare una partita di tanto in tanto, ma posso fieramente affermare di aver abbandonato la via della rabbia. Ormai la mia vita da Pro Gamer è bella che finita (ancor prima di cominciare), ma non rinuncio a qualche ora di gioco settimanale che mi ricorda che, sotto sotto, l’opera di Riot Games mi ha accompagnato per quasi tutto l’ultimo decennio della mia vita, che mi ha aiutato a superare periodi particolarmente neri e a rafforzare qualche amicizia con persone che – ahimé – abitano a troppe centinaia di chilometri da me. Non c’è da stupirsi che giochi come League of Legends siano quindi entrati a gamba tesa nella vita quotidiana di milioni di persone, che molti parlino di campioni, oggetti e giocatori nello stesso modo con cui ammettono di aver seguito una partita di Serie A, e soprattutto che parte della terminologia usata in gioco venga utilizzata anche lontano dagli schermi. Così, come avete già potuto leggere anche nel titolo dell’articolo: sono un evocatore e ne vado fiero. GG <3.

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