Non so voi, ma tra i tanti vezzi (o vizi) che ho accumulato negli anni da videogiocatore, c’è quello della personalizzazione ossessivo-compulsiva. È iniziato tutto, manco a dirlo, con la mia passione smisurata per il calcio e lo sport in generale, e sin dai tempi dell’Amiga, in tutti i titoli dove per questioni di mancate licenze c’era spazio per l’editor, passavo le mie giornate a modificare i nomi dei giocatori/piloti e a ricreare, quando possibile, approssimativamente divise/livree/cose con i giusti colori sociali. Per gestire la corretta corrispondenza con il reale, in un’epoca pre-internet, mi affidavo alle riviste, e conducevo un lavoro metodico abbastanza inquietante, nella misura in cui non iniziavo davvero a giocare prima che fosse tutto a posto. Questa cosa me la sono portata dietro per anni, e per fortuna l’avvento di internet mi ha agevolato notevolmente le cose; però per dire, la Master League di PES non l’ho mai cominciata senza prima aver editato tutte le squadre del mondo.
Non ho mai cominciato una Master League di PES senza prima aver modificato il database
A volte mi chiedo quante ore di gioco abbia perso nel corso degli anni, ma volete mettere il ricordo entusiasmante di un progetto mai concluso di una patch enorme per PES 3 con tanto di telecronaca personalizzata? Le ore passate a immaginare, con gli allora compagni di classe, nomi di giocatori e squadre restano comunque dei grandi momenti di cazzeggio di qualità. Impossibile anche dimenticare gli anni delle Superpatch, sia per FIFA che per PES, che aggiungevano la bellissima possibilità di moltiplicare il numero di kit a disposizione per le squadre, regalando a chi, come me, ha passato l’infanzia a disegnare magliette coi pennarelli, la chance di vedere indossate le mie creazioni agli atleti virtuali dopo un rigoroso lavoro a Photoshop. Per quanto la scena dell’editing sia ancora fiorente e ampiamente diffusa, la scimmia brutta per fortuna mi è passata, ma non del tutto.
A farla vivere latente in me ci sono ancora giochi come Football Manager 2018 e NBA 2K18, o i titoli automoblisitici che hanno l’editor interno di livree, su cui posso passare anche le giornate intere. Per esempio, se per questioni di recensione ho testato a fondo il vanilla mode dell’ultimo titolo di Sports Interactive, appena concluso l’iter valutativo mi sono lanciato a saccheggiare siti come sortitousi e FMscout alla ricerca dei facepack e logopack più aggiornati, con il risultato di tirare giù una quindicina di giga di roba solo per avere tutti i giocatori con la fotina perfetta, gli scudetti per ogni squadra e i nomi delle competizioni giuste con tanto di immagini a corredo. Il prossimo step è quello delle magliette, ma soprattutto, quello di scaricare e lavorare sui template dei kit 3D (quelli che si usano in gioco, per intenderci) in maniera tale da aggiornare con design personalizzati, anno dopo anno, almeno quello della squadra che alleno, e dare un senso di evoluzione anche all’estetica spicciola del mio calcio.
Mi rendo conto che siamo ai livelli di un disturbo ossessivo, e siccome sto facendo coming out finisco con il basket: sono due mesi che ho un progetto di Illustrator aperto e le reference ufficiali delle style guide NBA per tirare fuori un’immagine coordinata che funzioni per i miei Vancouver Cascadians, ché altrimenti non riesco a godermi in maniera adeguata il MyGM e portare alla gloria la mia franchigia. First world problems.