Elaborare un titolo minimamente “catchy” diventa un obbligo ancora più forte, davanti a una nicchia pur fascinosa come quella della VR. Sento, quindi, di dovermi spiegare subito: nessuna elucubrazione mentale, si tratta solo di discutere del concetto di “presenza”per come viene inteso nella realtà virtuale, in relazione a due uscite particolarmente attese. Di Doom VFR e Skyrim VR parleremo con dovizia di particolari il prossimo sabato nella nostra rubrica, completamente dedicata in questo caso ai due giochi editi da Bethesda, ma potrebbe aver senso spendere due parole su quelli che sembrano essere i risultati di gradimento fra i giocatori, peraltro in modo libero, senza riferimenti alle vendite, ma con un occhio ben attento al genere d’immersione che i titoli propongono.
Per certi versi si è verificato l’opposto rispetto alle previsioni: la rivisitazione del gioco di id Software è quella meno gradita da critica e giocatori, nonostante si presenti con una dimensione e un tipo di offerta virtualmente perfetti (ahr ahr) in realtà virtuale. Questo non vuol dire che un approccio onestamente arcade, con un grado di sfida adeguato, non sia da ritenersi fresco e adatto alla VR; al contrario, è vero che gli sparatutto “di pancia” hanno trovato sui vari Oculus, Vive e PlayStation VR un forma leggera e potenzialmente impegnativa – oltre che spontaneamente “fisica” – capace di regalare diverse soddisfazioni ai giocatori. Doom VFR non è poco divertente, tutt’altro, ma tutti i suoi aspetti concorrono in un risultato tiepido, che oltretutto non ha saputo guardare con lungimiranza agli standard che la VR ha acquisito, pur timidamente, in questo breve lasso di esistenza (leggi: gli insegnamenti di Croteam sui porting in realtà virtuale di Serious Sam).
Per certi versi, dopo l’uscita di Skyrim VR e Doom VFR, si è verificato l’opposto rispetto alle previsioni
Per certi versi, si potrebbe sconfinare in una valutazione teorica secondo la quale, sintetizzando al massimo, più aumentano i fattori di interazione VR e più risultano gradite le relazioni al mondo di gioco non strettamente necessarie in ottica d’azione, non potendo pensare a un mondo verosimile in cui si spari e basta. Una parte di me, però, spera con più forza che il risultato sia figlio dell’antica visione che i più “anziani” hanno mantenuto della realtà virtuale, non solo per giocarci ma anche per viverci dentro, sebbene in una versione più gratificante ed emozionale della realtà. Al momento, alcuni dei titoli che hanno attirato maggiore attenzione in realtà virtuale – Skyrim VR, Resident Evil VII ed Elite Dangerous, a diversi angoli dell’entertainment videoludico – sono andati proprio in questa direzione, per motivi diversi ma risultati altrettanto sibillini. Non so se in casi simili si possa parlare di “killer application”, ma certo l’uscita imminente di Fallout 4 VR mi mette in fibrillazione per ragioni molto più forti, solo in parte percettibili fino a oggi. Dite che sono pazzo? Beh, probabilmente sì, ma con una serie di valide e allucinate ragioni al seguito della follia.