Namco Museum - Recensione

Switch

Se pensiamo alla golden age dell’industria a gettone, Namco è senza ombra di dubbio lo Zeitgeist. Un traguardo significativo se consideriamo che il fondatore Masaya Nakamura (ex ingegnere navale) iniziò la propria avventura con un paio di cavalli meccanici di seconda mano, acquistati alla somma di tremila dollari e sistemati sul tetto di un grande magazzino a Yokohama. Da lì, la visione della Nakamura Amusement Machine Manufacturing Company (o Namco) crebbe considerevolmente, specialmente dopo l’acquisizione del disastrato braccio giapponese di Atari nel 1974, acquistato da Nakamura per la bellezza di cinquecentomila dollari di allora. Un affare apparentemente folle, ma che portò due vantaggi: da una parte il know-how dell’azienda di Nolan Bushnell, che gli permise di realizzare versioni “Made in Japan” del popolarissimo Breakout per contrastare il crescente fenomeno della pirateria di fronte alla forte richiesta del mercato, dall’altro l’esclusiva per la distribuzione dei coin-op Atari per i seguenti dieci anni. Un vantaggio, col senno di poi, forse eccessivo, perché dalla creazione del gioco meccanico chiamato Racer nel 1970, Namco sarebbe cresciuta rapidamente con le sue sole forze, caratterizzata da menti quali geniali Kazunori Sawano (Galaxian) e Toru Iwatani, quest’ultimo artefice di Gee Bee (1978), primo videogioco originale della compagnia; ah, sì, e anche di un certo Pac-Man (magari se state leggendo queste righe ci avrete fatto una partita o due).

TRANSCENDING HISTORY AND THE WORLD…

Nakamura ci ha lasciati il 22 Gennaio di quest’anno, ma la sua eredità vive ancora. Nello specifico, Namco Museum rimane una raccolta dal duplice sapore didattico e nostalgico, nata sulla primissima PlayStation nel lontano 1995 e destinata a moltiplicarsi e approdare su un’impressionante numero di piattaforme. Il museo apre i battenti su Switch forte di undici titoli piuttosto interessanti, imbellito da alcune delle caratteristiche proprie della console Nintendo, ma privo di parte dell’aspetto educativo dei vecchi appuntamenti. Namco Museum immagine Switch 08Assenti quindi flyer originali, foto di PCB, cabinati e documentazione storica in generale, un tesoro che brillava tanto quanto i giochi presenti sui CD all’alba di PlayStation e ora messo da parte, forse perché si tratta di informazioni e immagini assai più facili da reperire nell’era di Internet che nel 1995. Un “piccolo” peccato per una compilation che si presenta come un museo già dal titolo, ma ce ne faremo una ragione. Concentriamoci sui giochi, piuttosto.

Namco Museum è una raccolta dal duplice sapore didattico e nostalgico; nata sulla primissima PlayStation, ora approda su Switch

Pac-Man non ha bisogno di presentazioni; sarebbe del resto pleonastico aggiungere parole a un fenomeno di costume capace, alla fine del 1980, di superare gli incassi di un colosso come Guerre Stellari, riscuotendo oltre un miliardo di dollari in un solo anno! Anche Galaga (1981) è uno di quei nomi che non si dimenticano facilmente, inizialmente concepito per sfruttare l’hardware del popolarissimo Galaxian come l’oscuro e affascinate King & Baloon (presente, per la cronaca, nel volume Encore del primo Namco Museum), per poi essere sviluppato sulla nuova generazione di PCB Namco, implementando idee come il fuoco rapido e la possibilità di schierare una doppia astronave dopo averla recuperata da alcuni nemici (Boss Galaga) tanto intraprendenti da catturare il nostro precedente vascello con un raggio trattore, un’idea che il creatore Shigeru Yokoyama colse da un imprecisato film di fantascienza. Nella raccolta figura anche il diretto seguito, Galaga 88, un titolo che presenta la sfida originale a una nuova generazione di giocatori con numerose idee quali livelli a scorrimento verticale, enormi boss e tantissimi tipi di nemici, mutevoli in aspetto e difficoltà a seconda della dimensione affrontata, un meccanismo con cui è possibile scegliere di mirare al punteggio più alto incrementando per contropartita la sfida. In nome di una presentazione audiovisiva traboccate di personalità e colore, tornano a ritmo di musica i bonus stage, stavolta sotto forma di bizzarre danze galattiche, introdotti nel precedente Galaga in seguito alla scoperta, da parte del programmatore Tetsu Ogawa, di un bug che vedeva alcune formazioni aliene svolazzare sullo schermo e andarsene via come se nulla fosse. Oh, bisognava pur trovargli un lavoro, a questi sfaticati dal pianeta Galaga!

JUNKO OZAWA MON AMOUR

Nella compilation trovano posto anche titoli impreziositi da colonne sonore memorabili, destinate a rimanere impresse nella memoria: è la magia di Junko Ozawa, straordinaria compositrice a cui devo alcuni dei più cari ricordi a gettone. Fortunatamente, i giochi che si beano del suo tocco (presenti nella nostra compilation) non sono solo belli da ascoltare.Namco Museum immagine Switch 04

le idee di The Tower of Druaga hanno ispirato saghe come Hydlide, Ys e The Legend of Zelda

In ordine assolutamente sparso abbiamo quindi Sky Kid (1985), insolito sparatutto a scorrimento orizzontale dipinto sullo sfondo di una parodistica versione del primo conflitto mondiale, popolato da eroi aviari. Insolito non tanto per l’ambientazione, piuttosto perché lo scorrimento va da destra verso sinistra! Inoltre, si tratta del primo titolo per due giocatori in contemporanea prodotto da Namco, una caratteristica perfetta per le naturali doti di Famicom e Super Cassette Vision, le due piattaforme su cui Sky Kid è stato convertito l’anno seguente, entrambe munite di un paio di controller collegati direttamente alla console. Con un mix tra azione, segreti e precisione nelle fasi di bombardamento, Sky Kid si conferma un titolo eccellente, con svariate possibilità (tutte da scoprire) per massimizzare il punteggio.

E poi c’è The Tower of Druaga (1984), un gioco da noi poco conosciuto, ma che nel paese del Sol Levante vanta un culto assoluto, avendo posto le basi per i giochi di ruolo d’azione. Il principe Gilgamesh deve scalare la torre del titolo, collezionando chiavi e combattendo mostri, scovando a ogni piano il modo per mettere le mani su preziosi oggetti con cui diventare più forte. Uccidere due slime neri nel secondo livello, ad esempio, consente di mettere le mani su stivali alati che incrementano di molto la velocità di marcia. Molti giocatori occidentali tendono a trascurare il valore di Druaga probabilmente perché lo hanno conosciuto solo anni dopo, grazie alla sua presenza nel terzo volume dell’originale Namco Museum, ma le sue idee ebbero un impatto deflagrante all’epoca del debutto, ispirando – con le sue meccaniche – saghe come Hydlide, Ys e The Legend of Zelda. Un altro colpo da maestro per il leggendario Masanobu Endō, responsabile – tra l’altro – di un blockbuster come Xevious. Volendo, nella versione presente nel museo non avrete bisogno di consultare oscure FAQ per scovare i requisiti richiesti da ogni piano, dato che un sistema di suggerimenti può essere richiamato a piacere per conoscere modalità d’acquisizione e descrizione degli oggetti nascosti. Namco Museum immagine Switch 02

Albatross è probabilmente il più convincente Bond che si sia mai visto nelle sale giochi

Rolling Thunder è uno dei miei arcade preferiti, una spy story ambientata negli anni Sessanta splendidamente narrata da una presentazione audiovisiva che non sbaglia un colpo e riesce a dipingere lo scontro tra l’agente Albatross e il sindacato criminale Geldra senza bisogno di scrivere una parola. Namco dona vita allo sprite del protagonista con una pixel art da urlo, sottolineata da animazioni particolarmente potenti: la naturalezza con cui apre il fuoco col mitra o si lascia cadere da un piano di gioco all’altro lasciano ancora oggi di stucco. Alto, slanciato e plastico nelle sue pose da super spia, Albatross è probabilmente il più convincente Bond che si sia mai visto nelle sale giochi, alla faccia dell’anonimo protagonista di Sly Spy di Data East. Un uomo d’azione scatenato all’interno di un gioco di piattaforme lungo dieci livelli che introduce molte delle meccaniche che renderanno famoso Shinobi di SEGA l’anno successivo. Anche per questo il seguito uscito nel 1991 (nonché ennesimo titolo di questa raccolta) non riesce a bissare il successo del capitolo precedente, pur confermandosi un ottimo action game che aggiunge alla formula base la possibilità di giocare in due. La colonna sonora di Ayako Saso è piuttosto generica e non si avvicina alle sonorità à la 007 create da Ozawa-San per il primo episodio, e il gioco si permette di essere un “more of the same” ben due anni dopo che The Super Shinobi per Mega Drive ha fatto a pezzi e riscritto gli stilemi del genere, diretto da un Noriyoshi Ohba (i tre Street of Rage, tra le altre cose) in gran spolvero.

ANTIPODI

Qualitativamente parlando, Namco Museum si presenta come una compilation decisamente eclettica, che unisce giochi dall’atmosfera spesso agli antipodi. Come il classico dei classici, Dig Dug, un titolo famoso non solo per aver infiammato le sale giochi nel 1982, ma anche per aver costretto i videogiocatori a porsi la più classica delle domande: meglio Mr. Do! o Dig Dug? Namco Museum immagine Switch 07Ai posteri l’onere di rispondere a un quesito tanto spinoso; a noi basta sapere che il protagonista Taizo Hori e i suoi nemici Pooka e Fygar non hanno perso fascino, particolarmente a loro agio nel geniale esordio più che nell’anonimo seguito uscito nel 1985. Negli scontri sotterranei che animano Dig Dug è facile riconoscere l’unione tra un’estetica kawaii e meccaniche di gioco intelligenti ma abbordabili, un elemento presente in titoli come il già citato Pac-Man o Mappy, e che si è dimostrato un’importante costante per il successo iniziale di Namco, attirando nei Game Center un’insospettabile fetta di pubblico femminile.

l’unione tra l’estetica kawaii e meccaniche di gioco intelligenti si è dimostrato un importante elemento per attirare nei Game Center un’insospettabile fetta di pubblico femminile

Tutto il contrario Splatterhouse, qui al suo debutto nella serie Namco Museum. Si tratta di un clone di Kung-Fu Master in chiave horror che prende spunto dall’immaginario cinematografico del genere, citando esplicitamente pellicole come Venerdì 13 o La Casa 2 in un viaggio da incubo. Al di là delle scioccanti (per il 1988) immagini presenti su schermo, tra fondali disturbati e rivoltante bestiario, il punto di forza del gioco è la varietà di situazioni che il protagonista Rick sarà chiamato ad affrontare. Shigeru Yokoyama e il suo team si sono impegnati in particolar modo per immaginare situazioni assai diverse, come lo scontro in una stanza chiusa con un violento poltergeist o la passeggiata notturna in un bosco sotto la pioggia sferzante a base di impiccati e fucili a pompa, camminata che culmina nel duello contro Biggy Man, un colosso scarnificato dal volto celato in un sacco e una coppia di motoseghe al posto delle braccia! Anni fa sarebbe stato impensabile per un sistema Nintendo, ma questa versione domestica di Splatterhouse si presenta in occidente senza i tagli che – a suo tempo – caratterizzarono l’adattamento per TurboGrafx-16, come la Terror Mask (un artefatto senziente che possiede Rick, ovviamente identica a una maschera da portiere di hockey!) colorata di rosso per non generare scomodi paragoni con il personaggio di Jason Voorhees o il boss del livello ambientato in una chiesa, originariamente una croce rovesciata, sostituita da una “normale” testa mozzata. Così come per Rolling Thunder, anche Splatterhouse vanta seguiti sviluppati per sistemi domestici rigorosamente non Nintendo: si dà il caso che Namco fu una delle prime compagnie a sviluppare per il Famicom, ottenendo condizioni economiche vantaggiose. Giunto il tempo di rinnovare il contratto, nel 1989, Namco venne trattata da uno stoico Hiroshi Yamauchi alla stregua degli altri sviluppatori, una posizione che spinse Masaya a concentrare le forze della compagnia verso altri lidi come SEGA e NEC. Namco avrebbe comunque pubblicato un ridotto numero di titoli su Famicom, ingolosita dall’inaffondabile successo della console, ma si sarebbe legata l’affronto al dito, rifacendosi alla grande in era PlayStation, quando il suo supporto si rivelò uno dei fattori predominanti per il successo della macchina Sony.Namco Museum immagine Switch 09

questa versione domestica di Splatterhouse si presenta in occidente senza i tagli

Abbiamo quindi Tank Force (1991), divertente combattimento tra carri armati con visuale dall’alto, seguito di quel Battle City che tanto successo riscosse su Famicom per l’intrigante modalità a due giocatori. Nella versione cocktail, Tank Force permetteva addirittura di giocare in 4, opzione però assente su Switch. Il titolo dà il meglio di sé giocato con un compagno, perché – oltre a eliminare le truppe nemiche – per passare al livello successivo è necessario proteggere la base situata in fondo allo schermo, una condizione che rende esilarante il combattimento in coppia quando l’azione entra nel vivo tra potenziamenti e mezzi di varia foggia che attaccano da ogni direzione. Non è però finita qui perché, proprio mentre siamo persi nella contemplazione del tempo che fu, Namco Museum cala l’asso con l’irresistibile Pac-Man Vs., un titolo multigiocatore nato su GameCube dove trovava la sua ragione d’esistere grazie alla bistrattata connessione tra il cubetto e il Game Boy Advance, una funzione che abbiamo potuto apprezzare in pochissimi altri titoli come Final Fantasy Crystal Chronicles.

Con un solo Switch, fino a tre giocatori impersonano altrettanti fantasmi, lanciati all’inseguimento di Pac-Man in una piccola finestra che mostra una visuale ristretta del labirinto. Questa può essere parzialmente ingrandita mangiando i frutti bonus, e si vince raggiungendo un certo traguardo di punti, acquisiti a ogni cattura. Divertente, certo, ma mai come con due Switch collegati tra di loro, una configurazione che permette a un quarto giocatore di impersonare Pac-Man! Costui segue l’azione visualizzando il layout completo della mappa, accumulando punti ripulendo il labirinto e pappando gli amici-ormai-nemici con le pillole energetiche. Un vero spasso e, a tal proposito, sul Nintendo Shop c’è un DLC gratuito che permette di giocare con due console senza acquistare obbligatoriamente altrettante copie del gioco.

TIRIAMO LE SOMME

L’emulazione di Namco Museum è di buon livello, con un’ampia gamma di opzioni per personalizzare l’esperienza tra livelli di difficoltà, vite, dimensione dello schermo, scanline e differenti revisioni dei giochi tra cui scegliere, ove questo è possibile. Addirittura, Namco ha implementato il rumble HD nei giochi, con risultati spesso assai soddisfacenti. Sentire i nemici “aerostatici” di Galaga 88 esplodere con un soddisfacente scossone è un piacere che non credevo affatto di desiderare, così come si rivela appagante spiaccicare contro un muro i mostri di Splatterhouse ricevendo un gustoso feedback.Namco Museum immagine Switch 01

L’emulazione di Namco Museum è di buon livello, con un’ampia gamma di opzioni

Vista la peculiare ergonomia della console, basta inoltre un attimo per scollegare i Joy-Con e divertirsi con un amico in qualunque momento. Trattandosi di giochi non eccessivamente complicati a livello di comandi, l’acquisto del Pro Controller è una mera questione di gusti; l’unico momento in cui ho rimpianto una precisione più pulita è stato con la scivolata di Splatterhouse, una tecnica avanzata (indispensabile per completare il gioco con un credito) effettuabile al temine di un salto premendo il pulsante di attacco con il joystick nella diagonale bassa al momento dell’atterraggio. Non mi è riuscita sempre, ma va detto che si tratta di una mossa complessa anche in sala giochi, e posso serenamente barattare un pizzico di precisione hardcore in cambio della possibilità di portare una decina di classici ben confezionati con me, sempre e comunque.

Poi c’è il tate mode, IL motivo per volere a tutti i costi questa compilation, nonché il momento in cui Namco Museum si produce in uno scivolone catastrofico. La raccolta permette di ruotare di novanta gradi lo schermo, garantendo un’area di gioco perfetta per i titoli che giravano originariamente su uno monitor verticale come Galaga o Dig-Dug. In questo modo, vecchi classici in versione portatile non sono mai stati così belli e coinvolgenti come su Switch, ma c’è l’inghippo supremo: i comandi non vengono ruotati assieme allo schermo, reimpostati magari sul controller posizionato alla base, e l’unica maniera per giocare decentemente è scollegare un Joy-Con, attivare la modalità a due giocatori e affidare lo schermo di Switch alla buona sorte, dato che non si reggerà mai in verticale senza un supporto. Una vera e propria idiozia che tarpa le ali alla portabilità di Namco Museum qualora si desiderasse sfruttare questa possibilità, mentre i più ostinati daranno vita e veri numeri da circo pur di sfuggire a un errore di design tanto scellerato. Io, ad esempio, faccio scorrere lentamente il Joy-Con sul lato di Switch senza spingere fino in fondo, infausto evento che disattiverebbe la modalità a due giocatori e reimposterebbe il controllo base. Quindi mi trovo a giocare a Druaga un po’ rannicchiato, cercando di tenere l’ambaradan in equilibrio per evitare che Switch scivoli via o che il joycon si incastri completamente nella sua sede. Un artificio ovviamente inattuabile durante un viaggio, quando uno scossone darebbe vita a una potenziale tragedia.Namco Museum immagine Switch 06

i comandi nel tate mode non vengono ruotati assieme allo schermo

Fortunatamente c’è un extra parecchio gustoso, ovvero le classifiche online, dove è possibile competere per il punteggio normalmente o in modalità sfida. Ogni gioco ne ha una: in Rolling Thunder bisogna fare il punteggio più alto nell’ultimo livello, con vite infinite e penalizzazioni ogni volta che Albatross viene sconfitto, mentre in Galaga 88 si devono affrontare i vari bonus stage consecutivamente con un’astronave al massimo che perderà progressivamente potenza di fuoco. L’unico, grande rammarico è rappresentato dall’assenza di un filtro per consultare la posizione nella leaderboard in relazione alla sola lista amici. Peccato.

La mancanza del tate mode implementato con il minimo sindacale di criterio mi riporta alla mente il Control Stick, un disastroso joystick per Master System con un obbrobrioso parallelepipedo scippato a un cambio automatico al posto del pomello, e i pulsanti inspiegabilmente posti sul lato sinistro. Il genere di assurdità che non ti aspetteresti da una protagonista della scena arcade come SEGA o, in questo caso, Namco. Detto ciò (e aspettando una DOVUTA patch), la selezione dei giochi è soddisfacente e priva di “brocchi”, sebbene – per circa trenta euro e con le capacità di Switch tenute in debito conto – sarebbe stato bello avere qualche altro titolo, magari da conquistare giocando. Abbiamo uno stick analogico? Pole Position sarebbe stato perfetto. Il tate mode? Datemi Dragon Spirit, con l’indimenticabile colonna sonora di Shinji Hosoe a tutto volume. Due controller per giocare sempre e comunque? Dove devo firmare per Toy Pop? Con due episodi di Galaga e altrettanti di Rolling Thunder su appena dieci giochi, la pecca di Namco Museum non è sicuramente la qualità, quanto la varietà. Il problema di queste raccolte è l’aver dato per scontato gli extra, un fattore che aveva reso popolare la SEGA Mega Drive Ultimate Collection, vero paradigma per compilation simili, con un sacco di giochi e interviste nascoste, sbloccabili semplicemente divertendosi. È così facile…

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Pro

  • Una scelta convincente di titoli per ogni palato.
  • Classifiche online, e ci si ritrova a gareggiare per il punteggio!
  • Molteplici opzioni di personalizzazione, ed emulazione senza difetti.

Contro

  • Tate mode implementato davvero male.
  • Cronica assenza di extra.
  • Prezzo un po’ alto.
  • Mancano ancora diversi titoli fondamentali.
7.5

Buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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