World’s End Club è un gioco di piattaforme bidimensionale estremamente lineare, inframezzato da semplicissimi nonché ripetitivi enigmi

Una battaglia a colpi di palle di neve con uno yeti. Il look di certi fondali è davvero poco ispirato.
Il punto debole sotto questo aspetto è la mancanza di una vera e propria coerenza narrativa. I giovani scolari (alcuni paiono invero un po’ troppo cresciuti per frequentare la medesima classe…) funzionano grazie all’alchimia che intercorre tra di loro, ma presi singolarmente appaiono come blandi quanto prevedibili archetipi.
ONESTAMENTE?
Questo vuole dire che gli episodi dedicati ai singoli (quando ad esempio sviluppano il proprio potere in un momento di pericolo) risultano inevitabilmente triviali, una condizione esacerbata dalle dozzinali sequenze d’azione contro cui abbiamo già puntato il dito. La morale è che World’s End Club è un gioco migliore della somma delle singole parti, ma non per questo imprescindibile.
WORLD’S END CLUB è UN GIOCO MIGLIORE DELLA SOMMA DELLE SUE PARTI, MA NON PER QUESTO IMPRESCINDIBILE
In Breve: Kotaro Uchikoshi e Kazutaka Kodaka ci hanno abituati a trame geniali, e questo sarà un ottimo biglietto da visita per il futuro di Too Kyo Games. Non è questo però il gioco che porterà immediata gloria al nuovo marchio, giacché World’s End Club è un gioco mediocre, senza mezze misure. La narrazione è intrigante, ma le sequenze arcade sono basilari tanto nella resa grafica quanto nell’azione. Un mezzo passo falso, ma la partita è appena iniziata.
Piattaforma di Prova: Nintendo Switch
Com’è, Come Gira: Una discreta direzione artistica si sposa con fondali spesso spartani senza causare particolari problemi a Switch. Per lo meno i controlli tradizionali sono un netto passo avanti rispetto a quelli imprecisi su Apple Arcade.
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