I titoli troppo lunghi fanno schifo ovunque, anche su carta, ma quello sopra ha urgente bisogno di precisazioni. Prima di tutto, mi riferisco in via quasi esclusiva all’Occidente, dove le grandi produzioni sembrano aver dimenticato il valore della direzione d’autore: in molti videogiochi giapponesi sono ancora importantissimi i legami con personalità uniche e precise, per cui viene spontaneo, almeno per chi mastica un pochino il medium, connettere gli esempi di Hideo Kojima, Hidetaka Miyazaki, Shinji Mikami o Goichi Suda ai rispettivi titoli ad alto o medio budget, ed è altrettanto immediata la distinzione per gli eventuali episodi non diretti da loro, come per il secondo capitolo della saga dark fantasy di From Software, gli spin-off di Metal Gear Solid (prima di salutare definitivamente Konami, s’intende) o i vari Resident Evil dal quarto in poi. Non capita per ogni prodotto nemmeno in quel del Sol Levante, ma la frequenza di simili occasioni è rinfrescante per la portata culturale del nostro medium, anche solo per ricordare la complessità formale di opere del genere e, dunque, i meriti di chi riesce a dirigerle con una propria coerente visione, come può essere per i capolavori del cinema di Kubrik, Herzog, Malick o altri geni della settima arte.
Ci sono poi le questioni relative ai budget medi per i videogiochi, insieme ai distinguo per le software house compatte come una persona sola: nel primo caso, per come stanno le cose (e, in parte, per come le vedo io), stiamo da anni assistendo a un periodo di contrazione nel numero e nella portata dei titoli più costosi, dovuto ai tanti canali che le produzioni indipendenti hanno finalmente trovato, alla crisi globale e soprattutto ai nuovi competitor che si sono affacciati sul gaming dalla finestra dei dispositivi portatili, dove i capolavori possono anche esserci ma non corrispondono alla naturale evoluzione di ciò che ho sempre amato. In merito, invece, al discorso autorale, posso citare il fatto che uno dei miei team preferiti risponde al nome di Frictional Games, e che in un caso del genere la personalità del gruppo è così forte da non aver bisogno di nominare i singoli sviluppatori. Qualcun altro potrebbe voler evidenziare il talento di Ninja Theory, Housemarque, Platinum Games o tanti altri, ai due angoli del mondo e per motivi diversissimi, ma capirete bene che ci siamo già spostati su dimensioni produttive più o meno contenute, oltre in un fertilissimo territorio di mezzo.
I videogiochi ad alto budget sono opere formalmente complessissime, e questo accresce i meriti di chi riesce a dirigerle con una propria coerente visione
Pensate anche a Bethesda, e al progressivo allontanamento da The Elder Scrolls di vecchie pellacce dei giochi di ruolo (come Ken Rolston, in seguito designer del notevole Kingdoms of Amalur: Reckoning), oppure al fatto che difficilmente in quel di Ubisoft è stata ricordata la personalità più importante di Assassin’s Creed, Patrice Désilets, quasi a sancire il difficile rapporto tra le grosse compagnie e chi l’autore vorrebbe farlo veramente. Poi, beh, anche la vicenda tra Kojima e Konami risulta tutt’altro che edificante, quasi a mettere in dubbio uno dei punti di partenza, ma il game-designer era comunque famoso e celebrato ben prima del patatrac col publisher. Nel caso pur diversissimo di Call of Duty, invece, è difficile che qualcuno pensasse ai meriti di West e Zampella, magari artisticamente minori ma mostruosamente redditizi, prima che i due sbattessero la porta di Activision e fondassero Respawn. Da quel momento è stato possibile immaginare la loro firma sui meriti di Infinity Ward, capirne meglio il declino e riconoscere i significativi traguardi della nuova software house, compreso quello gigantesco di Titanfall 2, ciecamente sottovalutato da Electronic Arts, rispetto al rodato ma più ovvio lavoro di DICE, e anche questo fa parte del problema.
In molti videogiochi giapponesi sono ancora importantissimi i legami con personalità uniche e precise
Manco a farlo apposta, nemmeno in un discorso del genere mancano le eccezioni. Quella che mi viene subito in mente, però, è così scontata da non volerla nemmeno nominare direttamente. Dirò che è polacca, che sta realizzando il suo primo gioco fantascientifico e che non è lo studios responsabile di Frostpunk, anche se i due indizi coinciderebbero. Ne aggiungo un altro: sono ormai pieni di soldi fino a scoppiare, ma continuano a usarli per realizzare i sogni dei videogiocatori. Esatto, proprio loro.