La chimera del fotorealismo nei videogiochi

electronic arts server crysis 3

Intanto, cerchiamo di capirci sul titolo: il fotorealismo è ancora oggi una chimera, lo è da quando è stato evocato – in particolare, nello sguardo fiducioso all’evoluzione tecnica del gaming d’inizio millennio – e non è naturalmente detto che rimanga tale. Anzi, di sicuro non lo rimarrà, a meno che non mandiamo tutto alla malora con qualche simpatica guerra atomica o continuiamo a crearci problemi ambientali così gravi da poterci occupare solo di quelli. Avete fatto i debiti scongiuri? Ecco, andiamo avanti.

La questione coincide in parte con il rallentamento dei progressi nelle intelligenze artificiali che avevo pianto qui, nelle varie generazioni di console che hanno “congelato” la condizione tecnica dei cosiddetti AAA, nell’avvento di piattaforme mobili che se ne sbattono ancor meno di simili questioni, e in generale in una convenienza sempre minore nell’investire su questa componente, mettendo al lavoro decine e decine di artisti e tecnici 3D a far si che la grafica dei videogiochi diventi davvero stupefacente in termini di realismo grafico. D’altra parte, sono ben cosciente che molti si accontentano di quello che abbiamo, e certo godiamo tutt’ora di produzioni che staccano di diverse spanne tutte le altre in termini visivi, e altre così eccellenti nel gameplay da spazzar via qualsiasi altra considerazione.

The Evil Within 2 recensione

il fotorealismo è ancora oggi una chimera

Tuttavia, se guardiamo a ciò che Crytek era in grado di realizzare già un paio di lustri fa (i risultati ottenuti nel tempo con le mod, poi, sono quasi inarrivabili), e ancor prima ai straordinari passi avanti di giochi come Unreal o Half-Life, risulta ben chiaro il rallentamento della ricerca, quasi al livello di un freno a mano tirato in corsa. La faccenda mi è tornata in mente l’altro giorno, mentre giocavo felice e contento a The Evil Within 2 (ecco la recensione, se ve la siete persa qualche giorno fa), pensando a come potrebbero essere oggi i survival horror di un tempo tirati alle massime possibilità grafiche odierne, con i piccoli scenari separati l’uno dall’altro e i personaggi che vi si muovono all’interno modellati, texturizzati ed effettati con tutto ciò che abbiamo a disposizione nel 2017. Da un certo punto di vista, persino con il rifacimento del primo Resident Evil ci hanno preso per i fondelli: se solo i publisher lo volessero, e decidessero di investirci, il livello grafico di operazioni di questo genere potrebbe essere quasi indistinguibile dai filmati dal vero.

Alcuni problemi sono a monte, però, e non sono solo negativi: le produzioni indipendenti hanno trascinato quelle ad alto budget nella direzione delle idee, più che della grafica, e solo alcuni dinosauri come me continuano a piangere la lunga frenata su questi e altri aspetti tecnici. E adesso non state a nominarmi CD Projekt RED, a ricordarmi la notevole potenza dell’Unreal Engine 4 o, ancora, l’esistenza di mille tool per modificare shading e definizione d’immagine: nemmeno io vorrei un panorama videoludico fatto solo di fotorealismo, ma certo mi piacerebbe che chi ha denaro da investire, ogni tanto, tornasse a stupirci e, magari, a competere con chi è già un passo avanti. Quand’è l’ultima volta che la mascella è caduta a terra per il realismo visivo? E soprattutto: a quanti interessa ancora questo aspetto?

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