Risulta molto intrigante l’idea di poter trovare soluzioni pacifiche per i nostri scopi, restando in simbiosi con la natura
Mi è piaciuto molto il concetto base di cooperazione con le forme di vita autoctone, l’idea che possiamo trovare soluzioni pacifiche per i nostri scopi in simbiosi con la natura; d’altra parte il design degli enigmi non sempre è molto elegante. Impossibile essere molto chiaro senza fare spoiler, ma a volte ho avuto la sensazione di averla scampata con l’utilizzo sconsiderato e muscolare di certe abilità degli strani alieni, quasi si trattasse di spammare una skill all’infinito sperando di sortire l’effetto desiderato. Sapete quando risolvete un enigma e pensate: “Quanto sono intelligente!”, no? Ecco, Paper Beast non sempre riesce a rilasciare questa dopamina intellettuale.

Il colpo d’occhio è notevole, ma in primo piano si nota la scarsa qualità grafica che si riscontra da vicino.
ILIADE
Maggiore cura è stata invece riposta nello sviluppo dell’ecosistema del pianeta misterioso e della connessione tra flora e fauna, con tanto di vere e proprie catene alimentari e relazioni simbiotiche tra animali e vegetali. Ogni specie è poi stata progettata con grande attenzione anche nelle movenze, oltre ad essere dotata dei propri versi; come risultato, ad ogni fase della nostra migrazione cresce il legame empatico che ci stringe a queste curiose forme di vita, benevole e a volte indifese di fronte alla furia degli elementi, o dei rari predatori da cui ci capita di difenderle.
La modalità Sandbox permette di creare habitat autosufficienti, capaci di sopravvivere senza ulteriori interventi del giocatore

Certi alberi reagiscono alla presenza di una specifica specie, instaurando una relazione simbiotica con essa.
Ho visto un grande potenziale di una modalità di gioco che vivesse di vita propria anche al termine dell’avventura principale, ma tale speranza mi si è sbriciolata tra i controller Move appena mi sono reso conto che lo spazio a disposizione per i miei esperimenti era davvero troppo limitato. Un quarto d’ora appena, e già non sapevo più che fare. Durante la nostra esplorazione ci troviamo spesso in ambienti aperti, e qui l’occhio spazia e abbraccia orizzonti lontani sopra cui si aprono cieli dalle accese tinte multicolore dove anche nuvole e vento sembrano fatti di carta.
La rappresentazione delle aree di gioco nelle nostre immediate vicinanze è proprio brutta e povera di dettaglio

La mongolfiera ci sposta da un’area all’altra, e ci offre qualche scorcio sulla migrazione delle strane creature che abitano il pianeta.
Ecco perché l’incompetenza tecnica messa in bella vista dagli sviluppatori di Pixel Reef fa più male del solito e pesi per me in maniera più rilevante rispetto all’importanza che di solito do al comparto grafico di un videogioco.
In Breve: Bella l’idea, belli i panorama, bellissimi gli animali. Bello tutto, pure le cassapanche, ma non basta. I colpi di classe e di inventiva del designer Eric Chahi si vedono, sia sulla superficie di Paper Beast con i suoi scenografici colpi d’occhio, sia in profondità, con un messaggio di spiccata matrice ambientalista e pacifista. Grande quindi il disappunto nel vedere una realizzazione tecnica scadente e alcuni enigmi non molto eleganti nella loro soluzione. Rimane comunque un viaggio affascinante come se ne vedono pochi di questi tempi, in cui l’atmosfera e il design degli animali alieni fatti di carta fanno la parte del leone. Vale quindi più la pena per la componente emotiva che per il gameplay vero e proprio, sappiatelo.
Piattaforma di Prova: PS4 Pro con PSVR e controller Move
Com’è, Come Gira: La grafica di Paper Beast si fonda su principi estetici ben precisi che non vanno ad appesantire i processori della console, anche a causa di una qualità molto scarna delle texture nelle nostre immediate vicinanze. Il comfort con il visore in testa è molto buono, e si può giocare anche da seduti. Comodo.
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