A Highland Song – Recensione

PC Switch

Inkle torna a sperimentare, applicando questa volta il suo “motore narrativo” ad un’escursione bidimensionale, toccante e suggestiva per le campagne scozzesi, con A Highland Song.

Sviluppatore / Publisher: Inkle / Inkle Prezzo: 14,39€ Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 7 Piattaforma: PC e Nintendo Switch Data d’uscita: 5 dicembre 2023

Moira è una ragazzina come tante, cresciuta in un luogo sperduto tra le highland, aspro, impervio, dove il vento sferza continuamente il viso, fa svolazzare i capelli castani in tutte le direzioni e trasporta fin sulle leggendarie cime delle montagne i profumi del mare, sempre incombente, qualunque sia la distanza, come sa bene qualsiasi isolano. Moira ha voglia di scoprire, esplorare, raggiungere quel mare mai visto, andare dallo zio che le scrive sempre, ex-pescatore, guardiano del faro, un tipo egocentrico e solitario, capace di mescolare storia e leggenda, geografia e vita vissuta in racconti che non si ripetono mai, talmente ne ha vissute, e forse anche solo immaginate.




Raggiungimi più in fretta che puoi”, le scrive, spingendo la giovane a calarsi di soppiatto dalla finestra, zaino in spalla e giusto il necessario per una settimana di cammino, senza pensarci su molto, meravigliosamente incosciente, in un atto di ribellione e indipendenza che la riconcilierà con la natura e, soprattutto, la farà riflettere tanto su sé stessa quanto sulla sua famiglia.

ESCURSIONE BIDIMENSIONALE

A Highland Song è una interactive fiction atipica per lo studio di Cambridge, dove i bivi narrativi diventano ambientali, prendendo la forma di sentieri che convergono tutti verso il faro ma nascondono avventure, personaggi, eventi totalmente diversi lungo il cammino. È un’opera capace di racchiudere in sé l’imprevedibilità dell’escursione, emotiva e fisica, vagando e perdendosi per poi ritrovare sempre la strada, riuscendo a dare una tridimensionalità non scontata ad un’esperienza totalmente 2D, senza eccedere in elementi survival che avrebbero appesantito il racconto.

Ogni ambientazione è caratterizzata da svariati livelli di parallasse, con cui il gioco simula la profondità dell’esplorazione.

In un certo senso mi ha ricordato un Breath of the Wild in miniatura, laddove l’importanza della scalata è resa più emozionante dalla stanchezza di Moira, che ha bisogno di rifiatare dopo gli sforzi più pesanti, ripararsi di tanto in tanto dalla pioggia, costringendo a pensare prima di agire, proseguendo cauti, attenti a dove si mettono i piedi, costantemente distratti dalla bellezza dei paesaggi, dipinti a mano, e dalle animazioni, meravigliose, della ragazza. È un platforming riflessivo, a tratti “simulativo” ma sempre fluido, estremamente muscolare e gustoso a livello tattile, sorprendente.

È un platforming riflessivo, a tratti “simulativo” ma sempre fluido, estremamente muscolare e gustoso a livello tattile, sorprendente

Ogni picco conquistato diventa un punto panoramico per riconoscere sentieri, punti di riferimento, luoghi di cui lo zio Hamish ci aveva parlato o che, magari, abbiamo semplicemente visto per caso su una mappa logora, abbandonata in una scatola di fagioli vuota, lasciata per terra da chissà chi. Quella che ci circonda è una bellezza austera e sbiadita, a tratti desolante e misteriosa. Le nuvole basse, i rari momenti di azzurro, i laghi come specchi per un paesaggio vanitoso. Si percepisce il freddo, il vento, ma anche il tepore di quando un temporale lascia finalmente spazio a un pallido sole, dopo aver passato qualche ora in un rifugio.

 Quando il sole cala, è fondamentale trovare un riparo per passare la notte, ancora meglio se riparato, così da far recuperare energie alla nostra protagonista.

Per poi tornare a esplorare, lasciandosi attrarre da quel picco, da quel villaggio, da quella grotta, mentre un cervo sbuca da dietro gli alberi e ci viene voglia di rincorrerlo, scoprendo un’altra delle particolarità del titolo, il suo lato musicale, folk. I lunghi tratti pianeggianti che collegano i due estremi delle vallate diventano così corse a perdifiato, a ritmo di musica scozzese DOC, quella dei Talisk, Fourth Moon e Laurence Chapman. Le note diventano salti tra rocce e ponticelli diroccati, l’atmosfera cambia, sembra prendere colore, come se la musica fosse l’ingrediente segreto del pittore che ha tratteggiato quegli scorci, da usare con parsimonia.

Nel mentre Moira pensa in continuazione, la mente preda di mille pensieri, rimugina, rilegge le lettere dello zio, si agita per un percorso particolarmente pericoloso

Ci si concentra sul ritmo, certo, ma non è un rhythm game di per sé, non c’è game over se si sbaglia qualche input, al massimo si inciampa; è più un piacevole intermezzo, come quando in un film la colonna sonora prende il sopravvento per agevolare una scena di transizione, o come quando, senza rendersene conto, ci mettiamo a fare le cose a ritmo, con una canzone in testa che gira e rigira. Sono momenti quasi liberatori, molto piacevoli, soprattutto dopo certi passaggi complessi, perché la progressione non è lineare e guidata come magari ci si aspetterebbe. Bisogna guadagnarsela, perché questo è un territorio che va raccontato con rispetto e riverenza, e Inkle lo sa bene. Nel mentre Moira pensa in continuazione, la mente preda di mille pensieri, rimugina, rilegge le lettere dello zio, si agita per un percorso particolarmente pericoloso, si lascia affascinare da quella pianta, dalle aquile che dominano il panorama, dalle rovine romane, memorie di un tempo in cui l’Impero ha tentato più volte di espugnare queste terre, tornando però sempre a Roma con la coda tra le gambe.

Un momento per rifiatare, cespugli di lavanda e un pallido sole. Respirare a pieni polmoni.

La cultura permea l’esperienza, che sia legata alle bellezze del territorio, alla sua flora e fauna o ai suoi miti e leggende che narrano di dèi ed eroi, suggestionando chi vi si avventura, incapace di discernere realtà e fantasia, talmente ben mescolate da sembrare una cosa sola, come quando il profilo di una montagna ci ricorda il viso di un gigante, pietrificato in attesa di ridestarsi. Sono luoghi magici, misteriosi, capaci di mettere in soggezione, nonostante ci si sforzi di rimanere ancorati alla realtà. Un folklore radicato e incarnato, perfettamente, dai rari e bizzarri personaggi che incontreremo lungo il viaggio.

UNA POPOLAZIONE FOLKLORISTICA, IN HIGHLAND SONG

Parte integrante di una narrativa delicata, stratificata, che permea tutta l’esperienza e in questi momenti trova il suo lato più umano. Aiutare una coetanea ad accendere i bracieri che illuminano i crinali di un monte, per tenere lontani gli spiriti malvagi, portare una bottiglia di whiskey ad un abitante delle caverne che, a suo dire, sarebbe una sorta di folletto (e sulla cosa si può discutere anche animatamente!); fare compagnia ad un gigantesco allevatore, un po’ triste, taciturno, che fa parecchia tenerezza e ci offre un posto dove passare la notte, quando è troppo pericoloso e inquietante proseguire. Interazioni impreziosite dal motore proprietario dello studio britannico, l’ormai rinomato Ink, grazie al quale intrattenere conversazioni lunghe, dense, profonde, curiose e dinamiche, dando poi magari una mano a questi personaggi con fare da punta-e-clicca, in momenti dove gli oggetti raccolti durante la scarpinata trovano un utilizzo specifico; un coltello, della legna, una piuma, un pezzo di vetro.

La scalata è resa benissimo, molto Breath of the Wild, emozionante e divertente.

Quasi tutto opzionale, casuale e, di conseguenza, verosimile, con un bell’effetto sorpresa quando capita di avere gli oggetti giusti al momento, dando il là a un’azione, un evento che, altrimenti, sarebbe scivolato via senza neanche notarlo. Nessuna necessità di backtracking o attrezzi specifici necessari per arrivare in fondo al viaggio; quindi, solo un game design che premia la curiosità ma agevola anche chi vuole semplicemente godersi l’aspetto più “atletico” dell’esperienza. Chiaramente la natura dell’opera invoglia a rigiocarlo almeno un paio di volte, data anche la durata contenuta di una singola run, sulle 5-6 ore.

Nessuna necessità di backtracking o attrezzi specifici necessari per arrivare in fondo al viaggio; quindi, solo un game design che premia la curiosità ma agevola anche chi vuole semplicemente godersi l’aspetto più “atletico” dell’esperienza

Un ultimo lato curioso, tanto della narrativa in generale quanto degli incontri nello specifico, è l’utilizzo filologico dello scozzese, differente per accento (fantastico il lavoro dei doppiatori), alcuni vocaboli e modi di dire rispetto all’inglese. Se si mastica la lingua, comunque, non ci sono grossi problemi di comprensione, mentre chi è meno avvezzo potrebbe trovarlo un po’ ostico.

In Breve: A Highland Song è l’ennesimo centro di Inkle. Una platform adventure capace di mescolare il piacere del trekking (splendidamente reso in 2D) ad una narrativa delicata, avvolgente e ramificata come sono i sentieri che attraversano le highland. Una storia intima, quella che Moira rimugina costantemente tra sé e sé, ma anche uno spaccato culturale di una terra ricca di miti, leggende, tradizioni e Storia, impreziosita da personaggi molto umani, un po’ matti, capaci di diventare divertenti interlocutori con cui scambiare quattro chiacchiere dopo una lunga scalata, riposandosi e riparandosi dal freddo delle montagne. Suggestivo, audiovisivamente ispiratissimo, ludicamente fluido e centratissimo. Adesso ho una gran voglia di visitare la Scozia.

Piattaforma di Gioco: Nintendo Switch
Com’è, come gira: Giocato su Switch, problemi tecnici risolti tramite patch nei giorni scorsi, visivamente spettacolare.

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Pro

  • Un racconto intrigante, rilassante e rinfrancante / Audiovisivamente splendido / Una lettera d’amore alla Scozia, alla sua cultura e ai suoi panorami / Gameplay fluido e mai banale

Contro

  • Alcune collisioni non perfette / Se non avete dimestichezza con l’inglese, beh, il gioco è in scozzese, quindi è anche un po’ più ostico della media (può tranquillamente essere un pro per altri)
9

Ottimo

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