Del tema del digitale ne abbiamo parlato tanto e spesso, quasi sempre ragionando da un lato sulla comodità dell’assenza del supporto fisico, sulla liquidità del concetto di libreria e, di conseguenza, anche sul problema giuridico del possesso nel momento storico più immateriale di sempre. Proprio a questo riguardo, qualche giorno fa, mettendo a posto un po’ il computer, riflettevo su quanto il concetto di cloud e di bene immateriale, pur spostando l’attenzione sul valore d’uso invece che sul possesso (nel bene e nel male), mi ha fatto riappropriare dei miei ricordi e della mia vita digitale. Per chi, come me, per diverse ragioni, si trova costantemente diviso tra diversi luoghi, l’idea di avere una copia dei dati comodamente raggiungibile grazie a una buona connessione internet rappresenta un’ancora di salvezza, nonché una reale garanzia di poter effettivamente condurre uno stile di vita del genere.
A guardare la quantità di hard disk esterni che ho accumulato nell’era pre-cloud, adesso riconvertiti a backup, mi riesce difficile immaginare la mia vita i oggi senza il supporto della nuvola. Certo, si è quasi sempre schiavi di qualcosa, e se dunque prima si soffriva da ansia da spazio fisico, adesso ti ritrovi a necessitare di una connessione flat e performante (ma d’altronde, si tratta di una dipendenza che avresti comunque), ma i benefici sono innumerevoli.
Guardare la mappa del mondo con le foto pinnate sopra in ogni momento, regala materialità a quelle immagini
Da quando ho filosoficamente scelto di evitare lo spreco di scatti e prediligere la fotografia più selettiva, anche se solo con smartphone, con l’obbligo morale di sincronizzare e gestire le immagini in cloud, mi ritrovo a guardare spesso quelli che sono tornati a essere ricordi di viaggio, istantanee di esistenza, memorie a cui legarsi. Tra l’altro, tra Google Photo e Foto di Apple le possibilità di organizzare il flusso della rimembranza visiva sono praticamente illimitate, e anche convogliare le immagini uscite da Lightroom e Photoshop nella nuvola è davvero un attimo. Guardare la mappa del mondo con le foto pinnate sopra in ogni momento, da cellulare, da Mac o da PC ha paradossalmente dato consistenza a quegli scatti, a quelle immagini, a quei ricordi. È tutto più autentico e materiale perché diventa parte di me, sempre, ovunque io sia.
Cosa c’entra, tutto ciò, con i videogiochi? Beh, il cloud è vitale anche per quanto riguarda il mondo ludico, e per chi come me si trova magari a passare da un sistema all’altro spesso e volentieri, il backup dei salvataggi online è tipo il Sacro Graal per continuare a giocare in libertà. Allo stesso modo, inutile ribadire quanto tornino utili le librerie digitali nell’ottica della mobilità. Eppure, secondo me, la nuvola potrebbe essere sfruttata meglio, essere più importante e vitale nel modo in cui percepiamo i videogiochi. Chiaramente folleggio, e si tratta di un ragionamento utopico, che dunque non può e non vuole tenere conto della fattibilità della cosa, ma d’altronde anche la geolocalizzazione delle fotografie fino a una manciata di anni fa era equivalente a una chimera.
Insomma, al di là dei salvataggi in cloud, delle librerie giocabili su più computer o console diverse, mi manca un passaggio ulteriore, un qualcosa che rispetti la molteplicità dei sistemi ma allo stesso tempo restituisca al giocatore uno sguardo di insieme sulle sue memorie videoludiche. Vorrei una piattaforma in grado di fagocitare tutto quello che faccio nei mondi di gioco, a prescindere se su PS4, Steam, Uplay, Switch, smartphone, frigorifero: achievement, progressi, screenshot, ore di gioco, statistiche. Una roba che mappasse, come fanno i software di gestione delle foto, le mie vite virtuali e me le raccontasse in maniera unica, inequivocabile, emozionante nel suo diventare ricordo tangibile della mia esperienza.
In un mondo migliore sarebbe bellissimo che i titoli multipiattaforma avessero un sistema fluido di salvataggio cross-platform
In un mondo ancora migliore, poi, sarebbe bellissimo che i titoli multipiattaforma avessero un sistema fluido di salvataggio cross-platform, perché se ho esplorato tutta la mappa di Kikko’s Revenge su PlayStation vorrei avere la possibilità (anche facoltativa) di iniziare a giocare su PC ereditando i miei progressi, perché la mia esperienza con quel titolo non è differente solo perché impugno un altro pad. Ciò che vorrei, in un mondo che ancora non può esistere, è essere davvero libero di vivere e alimentare le mie vite virtuali sempre, comunque e dovunque. Essere privo di vincoli nel gestire la mia vita di giocatore, perché la definizione di abitudini ludiche migliori, meno orientate al consumo e più alla consapevolezza, secondo me si basano anche sulla capacità di costruire identità ludiche uniche, accessibili e che diano valore a ogni singolo ricordo, trasformandolo da sintetico a reale, pur nella sua intangibilità.