E così, dopo innumerevoli ore passate sulla beta e una settimana di gioco intenso sulla versione finale, è giunto il momento di tirare le somme su Overwatch ed elargire un voto sofferto che, per certi versi, sarebbe stato necessario assegnare solo tra qualche mese. Taglio la testa al toro e ve lo dico subito: il nuovo nato di mamma Blizzard è uno sparatutto competitivo molto divertente e incarna al meglio la tipica linea stilistica della casa di Irvine, ma non è certo un videogioco perfetto, per almeno un paio di motivi. Il primo è che Overwatch è uno splendido contenitore pressoché semivuoto: mappe e modalità non sono tantissime, così come sono assenti ingiustificate le partite competitive, che certo verranno introdotte più avanti ma che al momento latitano. A poco servono i premi elargiti sotto forma di modifiche al look per ogni passaggio di livello, sfiziosi certo, ma totalmente affrancati dal senso di progressione che ci si aspetterebbe da un prodotto del genere. Il secondo motivo riguarda il bilanciamento tra i numerosi personaggi: alcuni, come Reaper e Bastion, sono esageratamente forti rispetto ad altri, e possono sfruttare certi stage con un vantaggio tattico superiore al resto della ciurma. Con così tanti eroi selezionabili era davvero difficile pescare il jolly dell’equilibrio perfetto, e tutto sommato sinergie e debolezze funzionano, almeno se si guarda a Overwatch dalla distanza, cogliendo la visione d’insieme e non il particolare. Ma vediamo di entrare nel dettaglio della questione.
OVERWATCH: THE OTHERS JUST WATCH
Overwatch è sicuramente un arena shooter spassoso e frenetico quanto basta per soddisfare la voglia di azione di chiunque, ma al contempo “ignorante” a sufficienza per essere goduto con soddisfazione anche da chi è alla ricerca di qualcosa di leggero da giocare in pausa pranzo. Di certo, per fruirne in modo corretto, occorre predisporsi al gioco di squadra, mettendo da parte la voglia di fare gli eroi solitari senza macchia né paura. È il titolo stesso, in fase di briefing, a suggerirci cosa c’è che non va nella composizione del team e invitandoci ad agire di conseguenza, così da scendere in battaglia con un gruppo che abbia un minimo di equilibrio e non si trovi allo mercé del nemico nel giro di un battito di ciglio. In Overwatch non è solo il frag che conta, ma viene premiata in ugual modo la capacità di dare il giusto supporto, curando i compagni o fornendo loro preziosi buff che possono rivelarsi determinanti nei momenti più caldi. È pertanto cosa buona e giusta avere tra i sei membri del team almeno un elemento per ciascuna delle quattro macro-classi (Attacco, Difesa, Supporto e Tank), fermo restando che anche al loro interno si possono pescare differenze nemmeno troppo sottili tra un eroe e l’altro.
In Overwatch non è solo il frag che conta, ma viene premiata anche la capacità di dare il giusto supporto
TEAMPLAY IS THE WAY
Come detto a inizio recensione, le mappe di Overwatch non sono tantissime, visto che siamo nell’ordine della dozzina, divise a terzetti a seconda della modalità che devono ospitare. A proposito di quest’ultimo aspetto, va detto che Overwatch punta tutte le sue fiches su argomenti diversi dal mero conteggio delle uccisioni, visto che Assalto, Controllo e Scorta ruotano tutte attorno al presidiare uno spazio ben preciso degli stage, più e meglio di quanto faccia l’avversario. Blizzard non inventa nulla da questo punto di vista, ma è indubbio come il rendere marginale il punteggio personale, focalizzando l’attenzione su un obbiettivo comune, favorisca enormemente lo stimolo al teamplay, con le squadre che remano tutte nella stessa direzione e con ogni elemento di esse che deve fare la sua parte nella misura in cui il personaggio scelto può contribuire alla causa.
Le abilità sono sempre a disposizione, a patto di rispettare i tempi di cooldown (o di ricarica, per quanto riguarda la Ultra); inoltre, le munizioni sono infinite e al massimo richiedono di perdere qualche secondo per la ricarica; in giro per le mappe, poi, si trovano nativamente solo i medikit. Questi tre fattori, assieme al fatto che non esiste alcun sistema di progresso per i personaggi che ne aumenti le prestazioni in partita, spiegano da soli come Overwatch sia un titolo che fa dell’immediatezza e delle capacità dei giocatori il centro di tutta l’esperienza. Lo scopo di Blizzard è evidentemente rendere il suo nuovo nato accessibile a chiunque e mettere tutti sullo stesso piano a inizio match, a prescindere che si giochi una volta ogni tanto o si passino le notti a conquistare punti di controllo come se non ci fosse un domani: una filosofia condivisibile per molti versi, ma che per altri – come detto a inizio recensione – smorza non poco il senso di progressione, almeno fino a quando non verranno messe a disposizione dei giocatori ladder e modalità ad-hoc.
overwatch è uno sparatutto competitivo molto divertente e incarna al meglio la linea stilistica di Blizzard, ma non è certo un videogioco perfetto
Tornando a parlare strettamente di mappe, l’ispirato level design permette di diversificare l’approccio a seconda della composizione della squadra nella quale ci troviamo a combattere. Certi eroi possono sfruttarne la verticalità, alcuni in modo utile come Pharah, che si può librare in aria e dispensare morte dal cielo grazie a un potente jatpack (attenzione, però, a non finire il carburante sul più bello), altri in maniera più confusa, come ad esempio Widowmaker, dotata di un rampino che dovrebbe consentirle di raggiungere le zone più elevate per sfruttare al meglio le sue capacità da cecchino, ma che invece è scomodo da usare e tutt’altro che preciso. Almeno un paio di stage hanno la tendenza a favorire eccessivamente la squadra che deve difendere, in particolare quando non c’è un elemento mobile che fa da oggetto del contendere come in Scorta, bensì una zona fissa: sono situazioni dove il risultato della partita viene giocato nelle primissime battute, visto che il team che per primo prende possesso dell’obiettivo aumenta – e di molto – le possibilità di portare a casa una vittoria, magari piazzando il già citato Bastion in un angolo protetto e dandogli poi il giusto supporto coi servigi di curatori come Zenyatta e Mercy, mentre il resto del gruppo pattuglia il perimetro.
BLIZZYSTYLE
Dal punto di vista tecnico Overwatch è un tipico prodotto di Blizzard. La grafica, coloratissima e caratterizzata da uno stile cartonato, dona all’occhio una sensazione di bellezza e al contempo di leggerezza. Su PC si gioca agevolmente anche su sistemi non di ultima generazione, mentre su console si fila via a 60 fps granitici, grazie in particolare alla risoluzione capace di scalare dai 1080p verso il basso quel tanto che basta quando la situazione a schermo si fa caotica. Il matchmaking, senza avere in pasto partite competitive, è al momento ingiudicabile, visto che per ora non fa altro che mescolare chiunque sia alla ricerca di una partita, senza dover rispettare alcun criterio di equilibrio. Diversamente da quanto accaduto con altri giochi di Blizzard, c’è da dire che il lancio di Overwatch è filato via abbastanza liscio, se si escludono alcuni problemi di lag su PC, nella maggior parte dei casi risolvibili aprendo le giuste porte sul firewall e chiudendo il client di Battle.net dopo aver lanciato il gioco.
il lancio di Overwatch è filato via abbastanza liscio
Tirare le somme di un titolo del genere è complicato. Overwatch tradisce un po’ la sua natura di prodotto “in divenire” ed è evidente, anche se i ragazzi di Blizzard non lo ammetteranno mai, che sia stato inizialmente concepito come prodotto free to play, per cambiare poi abito in corso d’opera. Al momento abbiamo tra le mani un videogioco dannatamente divertente – e su questo non ci piove – a prescindere dalla piattaforma in vostro possesso, ma che necessita in fretta di un ribilanciamento su qualche aspetto e, soprattutto, di iniezioni importanti di contenuti perché regga sulla lunga distanza. Per un videogioco venduto a sessanta euro potrebbe essere un problema non da poco.