Slave Zero X – Recensione

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Slave Zero X è la risposta cruda, violenta e brutale sotto forma di picchiaduro a scorrimento con una katana cibernetica nel mezzo e un esercito di cattivi pronti a fare il loro peggio, come se si fosse un film di Quentin Tarantino. Capitolo 0, è il tempo di affettare qualcuno…

Sviluppatore/Publisher: Poppy Works / Ziggurat Prezzo: 24,99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: PlayStation 5, PlayStation 4, Nintendo Switch, Xbox One, Xbox Series X|S e PC Data d’uscita: Già disponibile

Immaginate agitare una katana per colpire un ramoscello, spezzarlo e, in seguito, sentirvi bene con voi stessi. Già, proprio come in Ghost of Tsushima, se lo spirito della spada giapponese scorre dentro di voi. Non lo avete mai provato? Non parlo del titolo di Sucker Punch, bensì di colpire un ramoscello come in Blue Eye Samurai. Io ci ho provato con un bastone: il risultato? Due punti di sutura, la rottura del crociato e, proprio per non farmi mancare nulla, le prese in giro da qualche amico.

Con Slave Zero X, picchiaduro a scorrimento che riprende un immaginario vincente, si torna indietro nel passato, a un 1999 che diede origine al capostipite della creatura che ho giocato nelle ultime settimane, affettando corporativi, boss di varia natura e tante altre bestialità impossibili che hanno dominato i miei sogni. Bene, come se non bastasse mai e ce ne fosse oltremodo bisogno, è stato un piacere toccare con mano un progetto desideroso di far risplendere quel periodo nel 2024, tra ammazzamenti vari, un contesto dieselpunk e cyberpunk da paura e tante sfumature di vario genere che riflettono una su trama coinvolgente. Certo, non aspettatevi un videogioco che inventi la ruota, né un prodotto che si avvicina ad altre produzioni intoccabili del genere.

Slave Zero X arriva sul mercato con un’intenzione precisa: far riscoprire ai giocatori uno stralcio interessante del passato con l’intenzione di proiettarlo a recuperare il titolo principale

Slave Zero X arriva sul mercato con un’intenzione precisa: far riscoprire ai giocatori uno stralcio interessante del passato con l’intenzione di proiettarlo a recuperare il titolo principale, al tempo pubblicato su Dreamcast e in seguito convertito su PC. In una ordalia degna del peggior film di Tarantino, mi sono mosso al passo di danza, fatto salti mortali carpiati, mi sono finto morto e ho cercato di dire ai nemici che no, non potevano affatto uccidermi. Anche se, invece, lo facevano eccome. Ecco com’è andata.

CAPITOLO UNO: “OH, MA CHE BELLA VASCA CRIOGENICA!”

In questa avventura piena di gore, sangue a profusione ed esplosioni in pixel art di interiora, s’impersona Shou, un giovane che si ribella al reggente Khan, un essere abbietto. Non è certamente semplice per qualcuno solo soletto e con la certezza di poter contare solo sulla propria katana, ed è per questo che il ragazzo si appropria di un’unità mecha Slave, la cui capacità è riconosciuta da chiunque.

Questo l’ho schivato solo per una questione di fortuna.

Lo Slave in questione, tuttavia, risponde al nome di X, una creatura senziente che anziché essere un obbediente mecha della porta accanto, manifesta pensieri e sensazioni come qualsiasi essere umano, tanto da formulare pensieri così gravi da sorprendere anche il povero Shou. Il racconto, che è bene non raccontare per non scendere esageratamente nei particolari, mette sul piatto il binomio fa uomo e macchina, trattato con molta delicatezza e precisione da parte del team dello sviluppo.

Il binomio fra uomo e macchina è meravigliosamente presente

Il contesto, invece, tesse delle sfaccettature che s’inerpicano attraverso una narrazione composta da dialoghi e dalle informazioni che si apprendono nel corso dell’esperienza. Il racconto, al riguardo, non è nulla di troppo articolato e complesso: va dritto al punto, non s’inerpica su percorsi complessi e dettaglia dei particolari interessanti sui protagonisti. Ognuno di essi è diverso a modo suo, provvisto di sensazioni ed emozioni, nonché di una brutale e divertita ironia che s’instaura in maniera efficace nel corso della scoperta dell’opera, fondando i denti in una storia tratteggiata in modo convincente, seppure il videogioco si concentri su altro, più che su una trama che spacchi in due il cervello e faccia provare un senso di smarrimento tipico delle opere intimiste come Planet of Lana o Jusant.

Slanciarsi è uno sport estremo.

Insomma, qui si affetta, la katana è la risposta alla crisi economica e la soluzione ai conflitti su scala globale. Meglio, dunque, non sottovalutarla affatto, a meno che non siate pacifisti, ma in quel caso l’intero racconto non si accontenta affatto e s’inventi nuovi modi divertenti e coinvolgenti per presentare un contesto capace di riempire gli occhi degli appassionati del genere e non solo, soprattutto grazie a un livello di sfida intricato e ben congeniato, ottimo per chi cerchi delle prove concrete e brutali da affrontare senza tante cerimonie. In tal senso, fallire è inevitabile: l’unico modo per risolvere questo problema, però, è fare come dicono i Cobra Kai: colpire per primi.

CAPITOLO DUE: SLAVE ZERO X SOTTO FORMA DI HATTORI HANZO

Come accennavo, Slave Xero X è un picchiaduro a scorrimento laterale in cui l’arma principale non è un pugno, bensì una katana affilatissima carica di disprezzo e rimpinguata di odio. Al suo interno, si uccide in maniera forsennata e coinvolgente, usando abilità acquistabili da un negozio che compare nel corso dei livelli o quando si muore, eventualità che accade sovente, specie quando si affrontano innumerevoli nemici. Su schermo, in tal senso, potrebbe essere complesso gestirli tutti, ed è qui che il titolo – anche se sprovvisto di tutorial – insegna come posizionarsi nei livelli per evitare di essere riempiti di botte a non finire dalle fiere che, insistenti e inevitabili, sanno realmente dare del filo da torcere.

Prendi questo, maledetto.

Shou dispone di un attacco rapido e di uno pesante, nonché di un’abilità che consente di allontanare i nemici o di curare le proprie ferite. L’interfaccia di gioco, intuitiva e ben implementata, mostra infatti la salute e la barra sottostante che è necessario riempire per poi avanzare, procurando morte e dolore, propagando la tipica furia sanguinolenta tanto cara a chi adora lo splatter. Posizionarsi nel corso degli scontri, dunque, è fondamentale per sopravvivere e avere la meglio: potrebbe non essere semplice riuscire a capire come organizzare il combattimento, ma è proprio questo il punto: anche se è la frenesia a essere la protagonista assoluta, in Slave Zero X è fondamentale fare del proprio meglio per arrivare allo scopo e, in seguito, affettare gli avversari.

Un mare di combo da usare e da creare per fare del male al nemico

Concatenare le combo, oltre a coinvolgere, permette di inventare modi sempre diversi per intrattenersi, specie quando gli avversari, talvolta numerosi e difficili da abbattere, cominciano ad arrivare a fiumi. Gli scenari, davvero particolareggiati e ben delineati, inoltre danno vita a situazioni talvolta complicate per essere affrontate a testa bassa. Essere aggressivi è la risposta giusta per avanzare nell’esperienza, che intrattiene per circa dieci ore. Poi sono presenti schivate e le parate, fondamentali per impedire ai nemici di prendere fin troppa iniziativa.

Le varie tipologie di attacchi saranno tantissime.

L’opera, in sintesi, propone diversi modi per affrontare gli avversari, ma ne tralascia uno: è assente qualunque genere d’interazione ambientale, che in opere di questo genere, considerando le tante alternative, è quasi sempre un piacere trovare per differenziare le offensive. A non entusiasmare è poi la rigiocabilità: una volta conclusa l’esperienza, invece che strutturarsi ulteriormente, Slave Zero X non propone alcunché, esaurendo tutta la sua carica rapidamente. Forse il team avrebbe potuto occupare maggiormente il tempo per proporre un endgame ancora più sostanzioso, ma ciò non toglie che il progetto sia efficace e buono, nonché appassionato.

IL CYBERPUNK CHE NON PENSAVO DI AVER BISOGNO

Slave Zero X è un videogioco che affascina anche dal punto di vista estetico con una grafica sprite bidimensionale su un impianto tridimensionale. Il risultato è un videogioco ricco di colori di vario genere, grondanti di sangue, morte e industrializzazione, con il mondo alla mercè di un cattivo che vuole impossessarsi di tutto, persino dei cuori dei più deboli.

Qui serve tanta bravura e visione: la spada è l’unica legge presente

L’opera è un’operazione nostalgica che funziona, arricchisce e coinvolge, forse finendo troppo presto a causa dell’assenza di un endgame che poteva essere interessante nella sua struttura ludica. Cosa offre, però, è una violenza gratuita totale che fa bene all’anima e al cuore. Mica male la strada per la vendetta.

In Breve: Slave Zero X è un videogioco bidimensionale appassionante e coinvolgente, con un game design che propone un sistema di combattimento sapientemente costruito e intricato da apprendere. È infatti su questo che il progetto fonda le sue radici: l’apprendimento del giocatore per rafforzarsi e migliorare le sue abilità. Peccato per l’assenza di un endgame, che avrebbe potuto davvero portare il voto che vedete più in basso ancora più su.

Piattaforma di Gioco: PlayStation 5
Com’è, come gira: Ottimamente. Nessun intoppo sull’ammiraglia Sony.

 

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Pro

  • Sistema di combattimento impegnativo e particolareggiato / Tante possibilità d'approccio contro i nemici più ostici / Coinvolgente / La grafica bidimensionale è splendida

Contro

  • Assenza di endgame / Potrebbe essere tanto derivativo, per qualcuno / Mancano le tipiche interazioni ambientali dei picchiaduro cui siamo abituati
8

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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