Al momento ho trascorso circa dodici ore tra i picchi e gli altopiani che spuntano tra le nuvole di Stormland, combattendo le minacce robotiche della “Tempesta”, e credo che ne spenderò altrettante nei prossimi giorni.
I contenuti di questa esclusiva Oculus di Insomniac Games promettono di essere infiniti, in realtà non lo sono – o, almeno, la loro varietà ha un limite preciso, anche nella generazione procedurale dopo la fine dello storymode – ma fanno abbastanza per rendersi amabili dagli appassionati di fantascienza videoludica e, in generale, da chi gode nell’approcciare i videogiochi open world con una grande libertà d’azione, spesso sopraffina nella concezione e talvolta piacevolmente al limite dei cosiddetti gameplay emergenti.
ANDROIDI TRA LE NUVOLE
Faccio un passo indietro, giusto per ritrovarmi nel corpo meccanico di Vesper nei primi istanti dell’esperienza. Il nostro protagonista riconosce le proprie fattezze di androide in uno specchio, ma non ricorda gli eventi che hanno portato all’annientamento dei suoi compagni robotici in quello che è, allo stesso tempo, un incipit narrativo e l’inizio di una continua introduzione di elementi di gioco che terminerà solo alla fine dello storymode, dopo un numero di ore che non saprei quantificare esattamente nel caso di “rush” verso il finale.
Stormland lascia al giocatore la scelta di come approcciare l’esplorazione, il combattimento e, complice un affascinante scenario, quanto tempo vuol spendere sui singoli elementi
Le prime coordinate del racconto vengono fornite durante le spiegazioni delle caratteristiche di base: innanzitutto, il nostro androide è in grado di solcare la superficie delle nuvole servendosi di “boe” artificiali per aumentare la già elevata velocità del jetpack, capace di potenti boost, mentre obiettivo dopo obiettivo vengono recuperati e montati sul corpo di Vesper – attraverso gesti del nostro avatar virtuale, le cui fattezze sono rappresentate per intero – piccoli dispositivi per attivare di volta in volta un laser sul braccio destro, uno scudo energetico per il sinistro e un fondamentale compasso sul polso per seguire gli obiettivi, che si trasformerà in una mappa “olografica” da aprire tridimensionalmente intorno a noi. Nello stesso modo viene introdotto anche il “modulo multiplayer”, ovvero un’opzione co-op per esplorare il mondo di gioco in compagnia di un amico, o anche di un perfetto sconosciuto; non l’ho potuta provare a fondo in sede di recensione, ma mi è sembrata ben concepita e semplice nella comunicazione, non precludendo comunque il divertimento in singolo.
È chiaro come gli sviluppatori si siano divertiti nel creare ottimi spettacoli d’interazione VR, applicati su caratteristiche piccole e grandi
GUERRA INFINITA
Durante lo storymode veniamo spediti in lungo e in largo per tre “strati” di nuvole con relative “isole”, a loro volta collegati da ascensori gravitazionali, portali con scudi energetici e puntellati di obiettivi per procurarci chiavi di accesso, abbattere barriere e scannerizzare nuove tecnologie per accumulare gli elementi dell’Index e accedere alle relative skill, altrimenti sbloccate da speciali “boccioli” che possono essere raccolti o costruiti; il tutto, infine, sfocia nella sfida del Terminus, il più coriaceo dei tanti luoghi difesi da manipoli di robot corrotti da La Tempesta, droni volanti e androidi da combattimento con varie specializzazioni – normali fanti, sniper ed enormi tank, tra le tipologie principali – sui quali rovesciare un gunfight allo stesso tempo frenetico e metodico, grazie al level design sviluppato in altezza e al valido comportamento dei nemici in battaglia, che si mettono ben al riparo quando subiscono danni, si coprono vicendevolmente e sono spesso alla ricerca della migliore linea di tiro, oltre che di copertura efficace, specie nello sfaccettato level design delle basi più grandi.
L’eterno ritorno dello scenario ha un senso narrativo non subito esplicitato ma affascinante, come se forze misteriose vicine al fantasy si dovessero prima o poi tuffare nella meccanica quantistica
DA QUI ALL’ETERNITÀ
Il gioco è filato liscio come la seta su un PC composto da vecchio i5 4670K (aspetto sorprendente, dal momento che lo sviluppatore raccomanda per Stormland migliori CPU), 16 GB di Ram e 1080Ti, tirando al massimo le numerose impostazioni grafiche nonostante l’elevata risoluzione di Oculus Rift S; il sistema di controllo, da parte sua, tiene in conto eventuali episodi di motion sickness con diverse opzioni per il comfort (velocità o scatti per la rotazione del busto, vignettatura ai bordi della visuale), ma non rinuncia in nessun caso al movimento libero con la levetta dell’Oculus Touch sinistro, scelta che condivido pienamente per non semplificare in alcun modo la fluidissima azione.
L’idea dei Cycle infiniti viene gestita con gran mestiere, ma non può alimentare la longevità oltre un certo limite
Stormland è un gran bel gioco, grazie a un connubio di buone pratiche degli action VR e tanti tocchi di forte personalità, in cui non è difficile riconoscere la mano di uno studio esperto e talentuoso come Insomniac. Sotto il profilo progettuale è stato scelto di inserire il gameplay libero, frenetico e allo stesso tempo ragionato all’interno di una serie di “Cycle” virtualmente infiniti, disponibili dopo un corposo storymode introduttivo; un’idea sicuramente suggestiva, ben fatta sotto il profilo di una moderata generazione procedurale, ma che non può davvero portare l’esperienza oltre una certa longevità. D’altra parte, credo che il fascino di Stormland continuerà a tenermi attaccato a Rift S ancora una decina di ore, dopo averne passate altrettante, e dunque che l’offerta di gioco resti comunque rimarchevole – oltre che qualitativamente eccellente – per i titoli nativi VR di questa generazione.